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Ruanda, se (anche) lo sport aiuta a rinascere

di Roberto Brambilla

Il 6 aprile 1994, esattamente vent’anni fa, l’aereo dell’allora presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, fu abbattuto da un missile terra-aria, mentre il politico era di ritorno insieme al collega del Burundi Cyprien Ntaryamira da un colloquio di pace. Quell’evento fu l’inizio di uno dei più grandi genocidi del 20 secolo. Hutu contro tutsi, amici che diventano carnefici e una pulizia etnica che non risparmia nessuno.  800mila persone uccise in 100 giorni di odio. Uomini, donne, bambini, intellettuali e contadini, operai, imprenditori. E anche sportivi. Louis Kirenga, portiere del Rwinkwavu, Rudasingwa Martin Kunde, capitano del Kiyovu Sports, Munyurangabo Lonjin del Rayon Sports, questi solo alcuni nomi, sconosciuti in Italia ma idoli per i ruandesi,  morti in quei tre mesi di sangue.

E lo sport ha aiutato a ricostruire, nel post genocidio, quello che le armi avevano distrutto. Con una data simbolica d’inizio. L’11 settembre 1994, quando a Kigali, la capitale si affrontarono Kivoyu e Rayon Sport, nella prima partita ufficiale post genocidio. Fu la prima volta in cui hutu e tutsi non si incrociavano per aggredirsi ma per vedere la propria squadra. Un cammino lento e tortuoso, come quello politico, che ha vissuto un momento di apoteosi il 6 giugno 2003, il giorno in cui al Kigali Stadium, Jimmy Gatete segnò la rete della vittoria contro il Ghana e consegnò la qualificazione alla Coppa d’Africa 2004 alle Vespe.

Ma la rinascita sportiva del Ruanda non è passata solo attraverso il calcio (nel 2016 Il Ruanda ospiterà la Coppa d’Africa Under 20) ma anche dalla tenacia di ragazzi come Adrien Niyonshuti, primo ciclista ruandese a correre tra i pro. Il 26enne all’epoca del genocidio aveva 7 anni e vide morire 6 dei suoi fratelli, mentre lui e i suoi genitori riuscirono a scappare verso l’Uganda. Cominciò a pedalare con una bicicletta d’acciaio compratagli da suo zio Emanuel e la svolta arrivò grazie a “Jock” Boyer, professionista USA delle due ruote negli anni Ottanta anche lui alla ricerca della sua personale redenzione (è stato condannato nel 2002 per atti sessuali con una ragazza minorenne) in Ruanda per aiutare ciclisti dilettanti a migliorarsi. Nacque così Team Rwanda diretto da Boyer e fondato da Tom Ritchey e Dan Cooper, squadra da cui Adrien fu poi ingaggiato nel 2008 dalla QTN-Qubeka , team pro sudafricano. E oltre a correre con i campioni nel 2012 Adrien, che si occupa anche della promozione con Boyer del ciclismo in Ruanda, è stato il portabandiera della nazione africana ai Giochi di Londra. Nella capitale britannica ma per le Paralimpiadi c’era anche la nazionale ruandese di sitting volley, la pallavolo “da seduti”. I ragazzi, hutu e tutsi molti dei quali, sono diventati disabili proprio a causa di quei tre mesi di follia, sono arrivati  noni. Ma una vittoria, a 18 anni dal genocidio, l’hanno già ottenuta.


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