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L’ossessione dell’Expo 2015

di Marco Percoco

Milano non è in forma e non lo è da oltre un ventennio, da quando, cioè, Tangentopoli ne travolse non solo buona parte della classe dirigente, ma anche l’immagine e la vitalità percepita nei folli anni ’80. Da allora, la città non si è più ripresa, se non nella vuota retorica di concetti impalpabili che la volevano di volta in volta al centro di reti glocali, tra i motori d’Europa, o città più connessa con il resto del mondo.

A me sembra evidente come il capoluogo lombardo non riesca a tenere il passo non solo di Londra, Parigi o Berlino, ma anche di Amsterdam, Francoforte, Madrid o Barcellona. Il rischio che vedo è in una pessima abitudine tutta lombarda o forse in generale italiana – è il rischio del “tutto va magnificamente bene”. In questo contesto, anche l’Expo 2015 sta diventando un pezzo importante d’una pericolosa retorica,

Non voglio essere disfattista, ma credo che chiunque frequenti Milano si sia reso conto che dietro i ritardi nei lavori di infrastrutturazione e di sviluppo immobiliare si celi un ben più grave ritardo di visione prospettica. Expo 2015, si sente dire di continuo, è un’opportunità, ma per cosa? Se l’opportunità è quella dello sviluppo ulteriore, di che tipo di sviluppo parliamo? E come si intende perseguirlo?

Su questo punto mi sembrano interessanti le parole di richiamo alla società civile pronunciate dal Cardinale Scola il giorno di Sant’Ambrogio: “Expo 2015 si presenta come un’occasione privilegiata di trovare nuove sinergie tra capacità, risorse, progetti per una società civile come quella milanese che patisce una frustrante sproporzione tra le sue grandi potenzialità e le sue effettive possibilità”.

Un laboratorio politico apparentemente interessante da questo punto di vista è proprio la Lombardia, ove un sistema di liste civiche ed associazioni ha prima consentito la vittoria di Pisapia al Comune di Milano, e poi ha sostenuto la candidatura di Ambrosoli alla Regione. Il rapporto stretto, dunque, con la società civile è stato fondamentale per garantire la convergenza degli elettori su alcuni temi (soprattutto civile e che prescindevano dalle condizioni economiche) e per sostenere elettoralmente questo o quel candidato.

Nel caso di Milano, però, la spinta del “civismo” non è riuscita a garantire una giusta qualità al governo urbano, all’altezza dell’importanza della città. E’ come se la politica avesse fatto un passo indietro, lasciando l’onere di guidare Milano ad un magma indecifrabile di soggetti provenienti da Terzo Settore ed associazionismo. E’ ancora notizia di pochi giorni addietro l’iniziativa di Ambrosoli di coordinare una “rete del civismo”, un’iniziativa i cui contorni sono ancora insondabili.

Le indicazioni, certamente preliminari, che vengono dall’osservazione della Lombardia rispetto al “civismo” sono:

1)  il canale civico è estremamente importante per comunicare iniziative di natura sociale su cui dover costruire il consenso di tutta la popolazione;

2)  la società civile non deve sostituirsi ai partiti o, meglio, sono i partiti, i politici e gli amministratori a dover mantenere un ruolo trainenante nella conduzione della cosa pubblica.

In definitiva, mi pare cruciale il ruolo del Terzo Settore e dell’associazionismo nell’aiutare a “scremare” l’insieme di persone che aspirano ad entrare a far parte della classe dirigente e che “immaginino il futuro”; un ruolo certamente fondamentale, ma che deve limitarsi ad essere di supporto, in un equilibrio tra eccesso di protagonismo e marginalità. L’Expo 2015 è un punto di partenza.

 


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