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Milano, gli aperitivi in Darsena e la corruzione

di Marco Percoco

La storia di Milano nel ‘900 non è la storia di personaggi illustri, ma un tortuoso percorso intrapreso da milioni di uomini e donne che hanno rifondato una città, donandole basi che affondano nel lavoro, nell’abnegazione, nel senso civico. Non mi aspetto che tutti condividano questo pensiero, ciononostante non riesco a non sovrapporre Milano all’immagine della Fiumana di Giuseppe Pelizza da Volpedo.

Pochi giorni addietro, Lorenzo Alvaro mi ha sollecitato sulle parole di Cantone circa i presunti anticorpi di Milano rispetto alla corruzione. Proprio non riuscivo a non e riesco a capire a cosa il magistrato si riferisse, visto che la città, negli ultimi 25/30 anni, è passata dall’essere capitale morale del Paese a baricentro di Tangentopoli. Solo negli ultimi anni, è stata centro di scandali nel settore della sanità, nella costruzione del sito di Expo, la giunta Formigoni è stata costretta a dimettersi in seguito a innumerevoli indagini ed il vicepresidente di Maroni è stato arrestato solo pochi giorni fa.

Beh, se questa è una città che ha gli anticorpi, deve esserci per forza qualcosa che non funziona.

Personalmente, credo che Milano si macchi costantemente dello stesso peccato di Roma: l’eccessivo potere di circoli elitari ed “aristocratici”. Provo a spiegarmi meglio.

L’evidenza empirica che abbiamo oggi a disposizione ci dice in maniera chiara che la corruzione si combatte con il senso civico. Se in uno sperduto paesino dell’America Latino il poliziotto chiede una tangente per evitare una multa, dovrebbe essere il cittadino stesso a ribellarsi in quanto gesto contrario alle regole di convivenza comune. Dunque, il senso civico, gli anticorpi nel linguaggio di Cantone, deve essere a diretto contatto con le occasioni che potrebbero dar luogo a corruzione.

Nel caso di Milano, come in quello di Roma, la corruzione non avviene per strada, ma nei salotti buoni; non concerne piccole contravvenzioni stradali, ma grandi appalti. E allora, il senso civico di cui ha bisogno la città non è quello della moltitudine di giovani e meno giovani che ha reagito alla violenza inaudita dei No-Expo, ma quello delle elite già protagoniste della stagione di Tangentopoli ed ora nuovamente alla ribalta.

Non è serio pensare che Milano abbia risolto i suoi problemi con la legalità solo grazie ad un aperitivo sulla Darsena o ad una cena nel Padiglione del Kazakhstan. La città farà un concreto passo in avanti solo quando la responsabilità della cosa pubblica verrà diluita, ovvero quando gli innumerevoli cortocircuiti politica-affari verranno attenuati, garantendo una concreta partecipazione delle periferie, ove il senso civico di cui Cantone parla è davvero presente tra la gente, la stessa che ha costruito Milano con il proprio lavoro. Dopotutto il Duomo stesso è stato realizzato grazie all’azione collettiva dei Milanesi nel corso dei secoli, non (solo) per il volere ed il finanziamento di un sovrano più o meno illuminato.

In questo senso, allora, mi piacerebbe vedere una politica più lontana dalla Cerchia dei Bastioni e più vicina a Piazzale Corvetto, vero emblema dell’incuria amministrativa, ma anche sincero cuore pulsante di Milano.

PS: Tra un pò inizierà la campagna elettorale e leggeremo, come ogni volta, dell’importanza delle periferie e magari vedremo anche frotte di #expottimisti in visita ai quartieri decentrati e dimenticati, tutti con un mojito in mano e con lo stesso spirito dei turisti occidentali alle prese con un safari in Namibia.


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