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Matera e il popolo di meridionalisti e narratori

di Marco Percoco

C’è stata l’era dei meridionalisti e c’è ora il magma dei blogger che si occupano di Sud o, meglio, lo narrano.

Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, con la lunga pausa del Ventennio fascista, schiere di fini intellettuali si susseguirono nel proporre analisi delle cause dell’arretratezza del Mezzogiorno e nel suggerire interventi di politica economica volti a ad attenuare quella che un tempo veniva chiamata “questione meridionale”. Fortunato, Croce, Salvemini, Nitti, Saraceno e molti altri furono la punta di un più vasto movimento che non risolse il problema, ma impose comunque cambiamenti significativi.

Arrivarono, poi, negli anni più recenti, orde di blogger a portare il mantra della nuova narrazione, di un Sud che riparte, addirittura di un Sud che è la locomotiva d’Italia. E’ la narrazione del potenziale del Mezzogiorno, dell’eccelsa qualità della vita, del “come si fanno le cose qui, da nessun’altra parte”, del “tutto va meravigliosamente bene”. Insomma, il sottosviluppo del Sud non c’è proprio, e se c’è è solo negli occhi di chi guarda.

Questa “narrazione” si colloca, dunque, a metà strada tra gli sketch di Albanese e quelli di un Mago Otelma che intende risolvere i problemi di milioni di persone con un tweet.

L’ultimo esilarante esempio è venuto dal programma RAI per l’ultimo dell’anno, ospitato a Matera, capitale europea della cultura per il 2019. Per cosa sarà ricordato questo programma? Per la bestemmia, per l’anticipo della mezzanotte, per il conflitto evidente tra un classico programma trash ed una città che ha scelto la cultura, non certo per Matera. Eppure, per i narratori, ma non per tutti i quotidiani nazionali, è andato tutto benissimo, le critiche sono venute solo da giornalisti del nord (sì, avete letto bene…), magari radical chic, e tanto con poco denaro pubblico sono stati raggiunti milioni di spettatori.

E già, ma perchè non c’abbiamo pensato prima che con pochi milioni di euro (tra l’altro presi dai fondi comunitari) si poteva offrire siffatta immagine della cultura materana?

Azzardo una risposta: forse perchè il marketing territoriale è una cosa seria e bisogna cercare una certa coerenza nelle azioni? (Un esempio facile facile a beneficio dei nuovi narratori, così si capisce meglio: non è una buona idea fare la pubblicità della pancetta in Pakistan o della Viennetta Algida in Groenlandia, a meno di non apparire ridicoli.)

Quali conclusioni trarre, dunque?

a) Il problema del Sud e dunque di Matera, come ho scritto tante volte, è serio e non si risolverà con vecchie o nuove narrazioni. Anche Mussolini provò a risolvere la questione meridionale semplicemente dichiarandola risolta e sappiamo come andò a finire.

b) Matera perderà un’occasione importante se non si affrancherà dal languore di questa comunicazione che ben poco riesce ad intendere di processi di sviluppo locale e ancor meno di marketing territoriale. Il rischio dell’effetto evento è, dunque, molto alto e va evitato.

Non so se questi commenti siano radical chic (come disse Wolfe di Bernstein che raccoglieva fondi per le Pantere Nere…), di certo so che questo modo di ragionare, quello della narrazione, offre uno scudo complice allo sperpero di denaro pubblico e quindi contribuisce a mantenere i nostri territori nel più nero sottosviluppo.

E speriamo pure che l’anno prossimo non ci tocchi vedere Matera venduta come dei materassi in una televendita, magari condotta dal lucano Sasà di Mykonos.


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