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Ben Hur, la Jeep Renegade e gli emigranti settentrionali

di Marco Percoco

Non è una novità il ritardo del Mezzogiorno, ma è certamente una novità sostanziale l’assenza di idee ed analisi che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni della storia politica e economica dell’Italia.

La letteratura economica ha, però, continuato a studiare il fenomeno, complice anche una situazione di divari geografici di sviluppo così rilevanti e persistenti nel tempo da risultare una miniera per i ricercatori interessati al fenomeno. Ebbene, senza voler indugiare troppo su questioni tecniche e comunque di dettaglio, oggi si ritiene, con diversi gradi di convinzione e significatività, che il ritardo del Sud sia imputabile a:

a) una scarsa qualità delle istituzioni e alla presenza della criminalità organizzata che agirebbero come delle tasse occulte sui bilanci delle imprese;

b) una geografia inclemente e conseguente elevati costi legati alla logistica delle merci, che li renderebbero meno convenienti;

c) le migrazioni continue di capitale umano che depriverebbe progressivamente il Sud del più importante fattore di produzione e di crescita di lungo periodo.

Negli anni più recenti, poi, si è fatta strada l’idea che la differenziazione salariale su base geografica potesse favorire la convergenza delle economie meridionali verso più elevati livelli di sviluppo grazie ad una riduzione auspicata dei salari stessi. Questa idea ha conosciuto diverse forme e diversi nomi, inizialmente la si chiamò “gabbie salariali”, per poi giungere, più di recente, a considerare l’equilibrio spaziale, ovvero una teoria, tutta americana e che mai ha trovato conferma in Europa (se non in UK), in base alla quale gli individui stanno bene ovunque, purchè li si compensi adeguatamente.

Ma, al di là delle teorie di riferimento, quanto è credibile un’idea di sviluppo del Mezzogiorno che si basa su una riduzione dei salari? La mia domanda è ovviamente retorica, per diversi ordini di ragioni.

Innazitutto, come scritto sopra, c’è consenso unanime sul fatto che il Meridione soffra di una più bassa produttività rispetto al resto del Paese. Ridurre i salari non comporterebbe alcun aumento della produzione per addetto, benchè, sperabilmente, si potrebbe assistere ad un incremento dell’occupazione.

Di recente, poi, alcuni studi hanno mostrato come i salari meridionali siano “più elevati” di quelli settentrionali, se si tiene conto del diverso potere d’acquisto. In particolare, tali studi mostrano come i prezzi delle case siano, a Sud, più bassi che a Nord e, con un sistema di contrattazione collettiva, si osservano salari reali più elevati, proponendo implicitamente una riduzione degli emolumenti per garantire una maggiore eguaglianza tra Nord e Sud.

Ma a questo punto allora, due domande sorgono spontanee:

a) Se i Meridionali vengono pagati così tanto di più, perchè i prezzi (soprattutto delle case) sono più bassi a Sud che a Nord?

b) Se si ha un salario così elevato nel Mezzogiorno, perchè, anche dato il diverso tasso di disoccupazione, non si assiste a flussi incessanti di Settentrionali emigranti a Sud?

La risposta, ovvia, a queste domande è una: a Sud si sconta un fattore che potremmo chiamare disamenities. Ovvero, con servizi pubblici di più bassa qualità, criminalità organizzata, peggiori istituzioni, non è proprio la teoria dell’equilibrio spaziale a stabilire che i Meridionali debbano essere “compensati” per questi fattori di sottosviluppo?

A questa visione incoerente, fa poi da accompagnamento la retorica del Sud-motore dello sviluppo.

Pochi giorni fa, la SVIMEZ ha pubblicato le anticipazioni al Rapporto 2016 ed è interessante notare come la Basilicata sia cresciuta nel 2015 addirittura del 5,5%. Questo dato, che ci ricorda molto quello irlandese di poche settimane fa, ha scatenato i commentatori, i quali hanno decantanto, alternativamente o congiuntamente, Matera 2019, i fagioli di Sarconi, l’Aglianico del Vulture e finanche le riprese del rifacimento del film Ben Hur fatte a Matera. In verità, quel +5,5% è facilmente spiegabile, soprattutto per un’economia piccola come quella lucana. La FCA (ex FIAT) di Melfi, che conta circa il 10% dell’economia locale, ha aumentato la produzione del 300% tra il 2014 al 2015. Non ci voleva poi molto, no?

Si potrebbe obiettare che poco importa se è la FCA o altra impresa ad aumentare la produzione. In verità, il problema riguarda l’esogeneità dello “sviluppo”, ovvero la totale immobilità dell’economia locale, ovvero ancora l’incremento della produzione è stato deciso, una tantum, a Torino e ben poche ripercussioni avrà per la Basilicata.

Alla fine, quindi, ci ritroviamo schiacciati tra analisi che producono implicazioni inverosimili e altre, frettolose, che dipingono un Meridione che non esiste. E allora, non ci resta che sperare che Ben Hur rottami l’ormai vecchia biga ed acquisti una Jeep Renegade, almeno stimoliamo la domanda interna.

 


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