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L’immigrazione, la disuguaglianza e la riforma fiscale

di Marco Percoco

La questione dell’immigrazione è uno dei temi centrali del dibattito pubblico e politico ormai da molto tempo, forse da almeno 25 anni, ovvero da quando, con il crollo dei regimi comunisti, grandi flussi di persone, famiglie, lavoratori si riversano sull’Europa occidentale e sull’Italia.

Chi è abbastanza vecchio ricorderà una nave stracolma di migranti albanesi attraccare nel porto di Bari, un’immagine che è assurta a simbolo d’un periodo storico che entrambi i fronti della cortina di ferro hanno vissuto con profonda intensità.

Oggi i toni della politica e dei discorsi che pure si ascoltano in metropolitana, per strada, al bar, sono molto più accesi, lividi, rabbiosi, ma anche venati di timori di vario genere. Sino ad ora i partiti (come pure le fazioni in cui si dividono le persone) si sono polarizzati su due posizioni tanto estreme quanto lontane dalla realtà: da un lato la fazione populista che ritiene l’immigrazione la fonte di tutti i mali che affliggono l’Italia, dall’altro la fazione progressista che invece ritiene il fenomeno neutro rispetto allo sviluppo, se non addirittura positivo. In questa polarizzazione trova terreno fertile la reazione comportamentale delle persone in generale, e più in particolare degli elettori.

La lotta a questo sonno della ragione passa per pillole di realismo che è necessario assumere per sviluppare, anche se tardivamente, gli anticorpi al populismo.

Innanzitutto è bene sottolineare come ipotizzare un contributo alla crescita dell’immigrazione richiamando gli esempi di USA e Gran Bretagna è profondamente sbagliato poichè quei paesi riescono ad attrarre (anche) immigrazione qualificata che tanto contribuisce all’accrescimento della produttività e delle economie nel complesso. E’ evidente come non sia questo il caso dell’Italia ove i flussi migratori sono tendenzialmente caratterizati da un basso contenuto di capitale umano, ovvero con livelli di istruzione medio-bassi.

Questa caratteristica ha, invece, un effetto negativo sui lavoratori italiani con medesime caratteristiche. In altri termini, gli Italiani con più bassi livelli di istruzione subiscono la pressione competitiva degli immigrati e finiscono con l’accettare livelli salariali più bassi. Questo comporta un effetto negativo dell’immigrazione sui redditi delle classi più deboli, quelle stesse che hanno sofferto di più durante la crisi.

E allora non deve sorprendere che il populismo attecchisca proprio su quelle fasce della popolazione e non sarà minimizzando le capacità cognitive e culturali di quelle famiglie che si combatterà il populismo.

E’ necessario garantire un chiaro e significativo sollievo economico a chi comunque subisce la accresciuta mobilità internazionale del lavoro, magari riformulando il sistema fiscale, producendo una maggiore redistribuzione a favore dei redditi più bassi. Questa operazione non garantirà la sconfitta del populismo, ma sarà un primo passo verso il riconoscimento che la giusta e umanitaria propensione all’apertura verso migranti e rifugiati comporta tensioni in alcuni segmenti del mercato del lavoro, tensioni che hanno comunque bisogno di essere gestite con realismo.


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