Impresa e territori: nuove coordinate per un vecchio rapporto

di Marco Percoco

In un’epoca in cui i confini sembrano labili e lo spazio insignificante, diventa apparentemente difficile discutere di territorio e di come le imprese lo alimentano e a un tempo se ne nutrono. La riduzione dei costi di trasporto rende facile spostare e vendere le merci in luoghi molto distanti da quelli di produzione, mentre le nuove tecnologie rendono più semplici, veloci, e forse più efficaci, le comunicazioni.

Sebbene questo scenario appena tratteggiato lasci presagire una sostanziale irrilevanza di dove le imprese scelgono di localizzare le proprie sedi amministrative ed i propri impianti produttivi, la realtà è differente. Gli ultimi due decenni sono stati testimoni silenti della crescente concentrazione della produzione in pochi angoli della terra. Ma anche in presenza di questo fenomeno non è scontato osservare una rinnovata centralità non solo dello spazio, ma anche del rapporto delle imprese con la società e l’ambiente che le circonda.

Ci sono imprese che, pur essendo multinazionali, si nutrano e curano il territorio, non necessariamente quello d’origine. In un libro relativamente recente, Marco Magnani (Terra e buoi dei paesi tuoi, Utet, 14 euro) presenta una rassegna di questi esempi concreti, con particolare riferimento alle aziende italiane.

I presupposti del libro sono semplici. Da un lato, da un punto di vista storico, i distretti italiani, quelli che per loro stessa natura hanno sfruttato la conoscenza tradizionale di alcuni luoghi a partire dalla fine dell’Ottocento, sono in alcuni casi implosi ed in altri hanno avuto un’evoluzione che ha portato molte aziende lontano dai confini nazionali.

Il rinnovato rapporto tra (alcune) imprese e il territorio prevede probabilmente due tipologie di legami: uno più incentrato sui profitti o, meglio, sulla produzione stessa (si pensi a conoscenza e materie prime, spesso locali), l’altro dipendente dalla vera responsabilità sociale dell’impresa, che la vede impegnata in settori quali lo sport, la cultura, la scuola, etc.

Il libro è una bella carrellata di esempi e in parte ci restituisce in maniera affabile esempi di impegno delle aziende, senza la pretesa di essere un nuovo, forse l’ennesimo, libro sulla corporate social responsibility. E chissà che non possa essere utile per elaborare una versione dell’economia civile che contempli in maniera più pragmatica la dimensione locale.


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