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Sostenibilità sociale e ambientale

Il Nuovo “Grande Gioco” Centro Asiatico

di Filippo Romeo

Il teorico inglese Halford John Mackinder, uno dei padri fondatori della geopolitica classica, nel periodo a cavallo tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento elaborò la famosa teoria dell’Heartland secondo la quale “chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland comanda l’Isola- Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo”.

L’Heartland indicato da Mackinder corrisponde sostanzialmente alla grande massa di terra euroasiatica il cui pivot è grosso modo identificabile nella Russia. La regione dell’Asia Centrale, per via della sua ubicazione geografica che la pone ai lembi di questa grande area, è stata da sempre considerata come luogo storico di interesse e di confronto per le grandi potenze nonché teatro del memorabile “Grande Gioco” fra l’Impero britannico e quello russo.

A seguito della implosione dell’Unione Sovietica, che portò all’indipendenza delle Repubbliche Centro Asiatiche, la regione tornò all’attenzione dei grandi strateghi e, in particolare, dello statunitense Brzezinski il quale, nella sua maggiore opera The Grand Chessboard pubblicata nel 1997, ha sostenuto che la chiave del potere globale è il controllo dell’Eurasia e che la chiave per controllare l’Eurasia è il controllo delle Repubbliche dell’Asia Centrale. Per ottenere tale controllo- spiega Brzezinski – è importante spingere la Russia verso la struttura atlantica-europea di modo che rinunci a ricostruire il suo impero euroasiatico lasciando, così, campo libero a Washington di farsi garante della stabilità e del libero accesso all’area. Corollario dell’egemonia statunitense sarebbe stata la realizzazione di una rete di oleodotti che avrebbero segnato la fine del monopolio russo nel trasporto di idrocarburi. A tale tesi oggi, a fronte di una Russia tornata in auge sul piano

internazionale, si oppongono coloro i quali ritengono che arrestare l'apertura della Russia ad occidente, come del resto sta accadendo in Ucraina, potrebbe spingerla a cercare maggiori margini di manovra in Centro Asia dove andrebbe per l'effetto a impattare con la Cina generando il caos nell'intera regione.

Come emerge dalle tesi richiamate la regione dell’Asia Centrale è stata e continua ad essere uno dei grandi centri di incontro e confronto tra le grandi potenze presenti sulla scena globale (quali Federazione Russa, Stati Uniti e Cina) e in cui i governi locali assumono un ruolo progressivamente più attivo attraverso l'adozione di politiche multi vettoriali.

L’attrazione verso quest’area, remota ai più, è sostanzialmente determinata dalla sua strategica posizione geografica che fa di essa un’autentica cerniera geopolitica tra l’Asia Orientale, il Sud est asiatico, la Russia, l’Europa e il vicino oriente. Ne è prova il fatto che nel corso dei secoli è stata attraversata da mercanti, viaggiatori e missionari che battendo i sentieri della via della seta hanno mantenuto vivi i contatti tra l’oriente e l’occidente.

Oltre che per la posizione geografica, la regione si rende attraente per l'abbondanza di metalli nonché per le ingenti ricchezze petrolifere, gasifere e idriche presenti nel sottosuolo, che fanno del Centro Asia una delle aree più ricche del pianeta. É per tali ragioni che molti analisti intravedono nella stessa l’origine e il fine ultimo della maggior parte degli stravolgimenti politici che interessano altre aree del pianeta. In particolare, non sono pochi coloro i quali ipotizzano che la strategia del caos di matrice statunitense – che nell’ultimo ventennio ha destabilizzato varie e vaste aree del pianeta, partendo dai Balcani e passando per Afghanistan, Iraq, Siria e che ha sfiorato l’Iran con i falliti tentativi di rivoluzione colorata, senza tralasciare la guerra in Georgia, le varie rivoluzioni dei tulipani e delle rose e non ultimo le primavere arabe e la guerra in Ucraina – sia stata senz’altro mirata a spostare il baricentro geopolitico nelle due aree più sensibili del globo: il Mediterraneo e l'Asia Centrale. Ne è prova quanto avvenuto recentemente nella cerniera mediterranea la cui frammentazione per mezzo di azioni militari, dirette o coperte, avrebbe avuto quale finalità ultima l'apertura di una via di accesso, sul tracciato della via della seta, verso lo spazio centro asiatico ( non a caso già definito dagli euroatlantici “Balcani Euroasiatici”) per la realizzazione del Grande Medio Oriente.

Vi è da dire, peraltro, che le ormai note ambizioni statunitensi, proseguite sin dal crollo dell'URSS attraverso l'immediata dislocazione di due basi militari in Kirzikistan e Uzbekistan per spezzare un eventuale asse Pechino-Mosca (che tuttavia va costituendosi), trovano oggi l'impaccio proprio da parte di questi due grandi attori che, anche per via della continuità geografica, hanno intessuto solide relazioni con gli Stati della regione.

La Russia, in particolare, nell'intento di recuperare il proprio ruolo di gigante internazionale, si è ormai ritagliata un ruolo da protagonista nello spazio ex sovietico e, attraverso la costituzione dell'Unione Eurasiatica, ha legato a sé il più importante attore regionale, il Kazakhstan. Stretti rapporti politici e di collaborazione economica vengono mantenuti anche con il Turkmenistan, per via della fitta rete di gasdotti risalenti all'epoca sovietica che ancora in parte legano le esportazioni di gas del Paese alla Russia, e con Tagikistan e Kirzikistan. Con riferimento a questi due piccoli Stati, la Russia nell'ultimo periodo ha cercato di dargli assistenza sotto il profilo economico sia per arginare la forte migrazione proveniente dagli stessi che, soprattutto, per evitare che finissero sotto l' “ala protettiva” di Washington che, tuttavia, già ne ha beneficiato durante questi anni per condurre le operazioni militari in Afghanistan.

Vi è poi l'Uzbekistan che, come del resto anche il Kirzikistan, ha mantenuto una politica estera un po' altalenante. Fino al 2005 ha intessuto con gli statunitensi ottimi rapporti poi interrotti a seguito di un maldestro tentativo da parte degli stessi di mettere sotto accusa il regime di Islom Karimov per le ripetute violazioni dei diritti umani compiute nel Paese. Una vicenda che portò l'Uzbekistan a voltare le spalle agli USA attraverso la chiusura della base di Karši-Chanabad, situata nel sud-est del Paese, a cui seguì la stipula di accordi di collaborazione militare con la Russia.

La Cina – altro grande attore di quest'area – ha legato a sé i vari Paesi della regione, senza peraltro interferire nei loro affari politici interni, attraverso una serie di vantaggiosissimi accordi economici nonché attraverso la costruzione del“Central Asia-China gas pipeline”, un gasdotto della lunghezza di oltre 1.800 Km che parte dal Turkmenistan fino a giungere allo Xinjiang cinese, passando per Kazakstan e Uzbekistan. Il progetto, oltre a interrompere il monopolio russo per l'esportazione del gas centro asiatico, ha creato una valida alternativa al transito delle importazioni di idrocarburi che passano per Hormuz e per lo stretto di Malacca.

A fronte di quanto emerge dalla descrizione che precede e dunque dall'importanza strategica che l'area ricopre, non è azzardato ipotizzare che la quiete della regione centro asiatica possa venire turbata da sconvolgimenti simili a quelli avvenuti recentemente nella sponda meridionale del Mediterraneo poiché anche questa area presenta alcuni elementi di fragilità. Tra questi rientrano il ritorno in patria dalla Siria e dall'Iraq di quelle frange, seppur minoritarie, di combattenti; l'instabilità di alcuni Paesi, fra tutti il Tagikistan la cui economia è basata esclusivamente sul narcotraffico agevolato dalla lunga e porosa frontiera che condivide con l'Afghanistan. Da ultimo, ma non per importanza, un ulteriore fattore di fragilità potrebbe essere rappresentato proprio dall'Afghanistan che, non essendo mai stato del tutto pacificato, da un momento all'altro potrebbe riesplodere, propagando gli effetti della deflagrazione in tutta la regione e, in particolare, in quelle aree (quali quella dello Xinjiang cinese) in cui vi sono dei focolai che covano sotto la cenere.

Tale ipotesi non è peregrina se si tiene conto anche dell'importanza che va ricoprendo in ambito asiatico il progetto di realizzazione della nuova via della seta, intesa come piattaforma di sviluppo per scambi, ricerche e cooperazione. La costituzione di questa nuova piattaforma che sta interessando tutti i Paesi della regione, e su cui Cina e Russia hanno già investito ingenti risorse, prevede la realizzazione di grandi infrastrutture di collegamento quali porti, strade, ferrovie e linee elettriche, utili ad incrementare gli scambi (che verranno effettuati in moneta locale per evitare l'instabilità finanziaria) e, sopratutto, a favorire lo sviluppo regionale. A tal proposito Putin ha già espresso la chiara volontà di collegare la transiberiana alla via della seta, mentre la Cina si sta adoperando a sfruttare la via per lo sviluppo dell'entroterra cinese. Nei centri studi russi e cinesi, dove sostanzialmente ha preso corpo quest'idea, si ragiona già da tempo sul fatto che la via della seta debba costituire non un mero corridoio bensì una concezione, un'idea, utile ad aumentare la qualità della vita e a trasformare la cultura allontanandola dalle storture del capitalismo.

In sintesi, un progetto alternativo a quello USA-UE di integrazione del capitalismo, capace di preservare la Grande Russia e la Grande Cina.

Guardando anche ad occhio nudo una carta geografica diventa di chiara evidenza che la realizzazione di tale ambizioso progetto metterebbe definitivamente fuori gioco gli Stati Uniti a cui, per sventare tale pericolo, non resterebbe altra via che generare il caos.

Filippo Romeo

romeo.filippo83@gmail.com


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