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I boh che fanno crescere

di Paolo Dell'Oca

Poi ascolto Generazione bho, di Fedez. E mi viene in mente che per anni ho scritto la lettera “B” dappertutto. Non sapevo perché lo facessi, però un giorno me lo sono chiesto. Perché proprio la B?

La prima risposta che mi davo era “boh”, e vabbeh. La quinta risposta era che la B  era l’iniziale di “boh”. E infatti un’altra scritta con cui siglavo il mio intorno era “IDK”. Che stava per “I don’t know”.

Tu non sai niente, Jon Snow.
Nel 1999 lessi Il grande Boh! di Jovanotti, di cui apprezzai l’inquietudine positiva, generatrice di flussi di frasi e ritratti di istanti. Di percezioni. Tra le altre cose mi sembrava che innalzasse il boh oltre un tappeto di bandiere di squadre di calcio, di squadre di partiti.

Il mio “boh” era probabilmente anagrafico: a cavallo della maggiore età avvertivo il desiderio di identificarmi e, per farlo, m’interrogavo sulle mie appartenenze. A quelle interrogazioni facevo scena muta. Anzi, rispondevo “boh”.

A tutt’oggi difendo quei boh, li sento miei: un “boh”, un “non lo so”, è la risposta di un momento, un momento in cui la propria risposta la si sta ancora ricostruendo. Un’ammissione di ignoranza. Mai pensato di sapere tutto.

Avete presente quando al cinema iniziano i titoli di coda e il vostro amico si gira verso di voi e con un unico movimento del collo vi sputa: “Tèpiaciuto?”? Ecco, io ci impiego un po’ a capire se il film mi è piaciuto. Devo pensarci, mi piace rimanere un po’ nella storia che ho appena vissuto, prima di uscirne e interpretarla. E valutarla. Dopo un po’ prendo posizione, e –attenzione!- mi può anche capitare di cambiare idea.

Una generazione è un’unità di misurazione del tempo che stimo duri 30 anni. La mia generazione comprende quindi chi è nato 15 anni prima di me e chi è nato 15 anni dopo.

Federico Leonardo Lucia, aka Fedez, è del 1989, ci separano 8 anni. Appartenenti ad una grande generazione boh, che ad un certo punto o reagisce o ci ritroveremo a cucire l’orlo del baratro. E a quel punto i rimorsi faranno più male dei morsi.

O, per dirla alla Marco Ponti, regista di Santa Maradona, una generazione che alla fine del film (e al ritorno alla vita) si alza dal divano per provare a sistemare le cose.

Immagine| @bertolottipf


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