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Istanbul: Passione, Gioia, Furore

di Nawart Press

Begum Ozpinar (a sinistra) durante una manifestazione

Begum Ozpinar cammina per Istiklal, l’arteria pulsante del centro di Istanbul, e si fa strada tra le centinaia di persone che passeggiano avanti e indietro sulla zona pedonale sballottando i sacchetti degli acquisti appena fatti nelle miriadi di negozi situati lungo il corso.Minuta com’è rischierebbe quasi di farsi comprimere dal frenetico viavai, invece procede dritta e spedita verso il suo obiettivo: piazza Taksim, cuore della città e teatro delle proteste di Gezi Park nel giugno 2013, quando migliaia di ragazzi erano scesi in strada contro i piani di cementificazione e stravolgimento urbano del governo Erdoğan. “Guarda qui che disastro” ci dice indicando i lavori di pavimentazione della piazza, un cantiere aperto che rientra in un più grande progetto di ricostruzione completa di Taksim, “ogni colata di cemento è una stoccata del governo contro l’identità di Istanbul”.

 

Trentunenne e laureata in comunicazione e design, Begum lavora come fotografa freelance, ma impegna gran parte del suo tempo ad adoperarsi nel Beyoğlu Urban Defense Group, un gruppo nato un anno dopo le proteste di Gezi per la preservazione del patrimonio architettonico, urbanistico e culturale del centro. “Cerchiamo di coinvolgere e sensibilizzare i residenti e i commercianti del centro contro lo sfregio urbano che il governo sta attuando”.

 

Il nuovo cantiere per la costruzione di un centro commerciale vicino all’ospedale armeno – Taksim

“Erdogan ha dichiarato che creerà la nuova Turchia partendo da Beyoğlu, pensa che modellando l’ambiente in cui viviamo riuscirà a inculcarci in testa la sua idea di identità nazionale: unica, monolitica e islamica”. Perché Beyoğlu? Il quartiere è il centro finanziario di Istanbul, ma soprattutto è l’area che più rappresenta la ricchezza storico-culturale della città. Tra i palazzi ottocenteschi, gli edifici in stile art nouveau, i passages nelle viuzze ciottolate a lato di Istiklal, i teatri, la sinagoga, l’ospedale armeno, l’opera, i piccoli caffè…si respira quell’aria cosmopolita che per secoli ha fatto di Istanbul il crocevia per eccellenza di culture e storie diverse, che in quel centro si sono mescolate e contaminate, facendo della città un “ponte” non più solo geografico tra Europa e Asia.

 

“Taksim è il centro dei divertimenti, della vita sociale e della cultura… greci e armeni avevano moltissimi negozi e commerci qui e i segni della loro presenza sono ovunque”, come testimoniano la chiesa greco-ortodossa di Aya Triada e l’ospedale armeno situati a due lati opposti della piazza. “Invece il governo del Partito Giustizia e Libertà ha messo in atto un vero e proprio progetto di trasformazione urbana, distruggendo palazzi antichi e costruendoci sopra moschee o hotel, o rimodellandoli con un gusto osceno per trasformarli in centri commerciali”.

 

La logica del governo, che alcuni esperti definiscono “neo-ottomana”, è di cancellare a colpi di spugna il passato della Turchia e riprenderlo in mano, rimodellandolo, e riscrivendo una nuova storia sui muri della città.

 

“Mi ricordo bene quando ho deciso di diventare più attiva” dice Begum, “era il 31 maggio, l’inizio delle proteste. Quel giorno sarei dovuta andare al lavoro ed ero stanchissima. La notte prima avevo visto persone svenire e portare via dalla piazza a causa dei lacrimogeni lanciati dalla polizia, le persone vomitavano e annaspavano. Ero molto impaurita e pensavo di scappare, soprattutto perché ero andata a Taksim da sola. Però poco prima dell’attacco della polizia avevo parlato con un gruppo di ragazzi e proprio nel momento in cui pensavo di darmela a gambe ho visto alcuni di loro farsi forza e, raggiunti da altri, creare una catena umana che bloccasse l’avanzata della polizia nel parco. Mi sono sentita più forte e senza pensarci su troppo ho raggiunto la catena. Poi ci hanno disperso. Il sole ha iniziato a sorgere e abbiamo ricominciato a marciare nel parco.”“Quel giorno ho capito che il governo davvero utilizzava tutti i mezzi che poteva per impaurirci: persino se la questione era uno spazio verde, come il parco di Gezi. Il dissenso non era minimamente contemplato. Dopo quella notte ho cambiato veramente idea: ho capito che non si trattava solo di una questione ecologica, ma soprattutto di una presa di posizione politica. Dovevamo fare qualcosa”.

 

Il cantiere a piazza Taksim

Così Begum, come decine di altri suoi coetanei attivisti, avvocati, urbanisti, architetti, sociologi e archeologi, si sono riuniti in un comitato di quartiere, organizzano dimostrazioni con i proprietari dei negozi e dei caffè che vengono regolarmente sfrattati dagli edifici – per lo più destinati a diventare hotel o centri commerciali.Mentre cammina, si ferma davanti ad un edificio imponente dietro piazza Taksim. “Il simbolo di questa cancellazione urbana per me è il Centro culturale Ataturk (AKM), dove si poteva andare a sentire l’opera e il primo teatro di tutta la Turchia in cui si sono esibiti i corpi di balletto. Perché rappresenta tutto quello che Erdogan vuole cancellare: cultura, tradizione, spettacolo e intrattenimento. Vogliono rimpiazzarlo con una “nuova Opera e una moschea!”.E Beyoğlu è solo l’inizio di un urbanismo politico e di un processo di gentrificazione che coinvolge altre aree della città. Come Tarlabasir, un quartiere popolare abitato soprattutto da curdi scappati dal sud est durante le repressioni degli anni 80 e 90 e dai nuovi arrivati siriani, e la costruzione di nuovi quartieri incentrati sul modello islamico-consumista (moschee e centri commerciali) su un’estensione di 50.000 ettari.

 

Ricostruzione, urbanismo politico, mutamenti e rivolte, Islam come componente essenziale dell’identità urbana, tutto questo di cui Begum si sta occupando verrà trattato al MAXXI di Roma in una mostra che verrà inaugurata questo 11 dicembre.

 

Istanbul: Passione, Gioia, Furore affronta le dinamiche, i cambiamenti e le esigenze culturali della Turchia, in particolare della città di Istanbul. “Una mostra che affronta cinque grandi temi del contemporaneo: le trasformazioni urbane e la gentrificazione; i conflitti politici e l’ identità culturale; i modelli innovativi di produzione; le urgenze geopolitiche e la speranza”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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