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Guardale, e se fossero tua madre o tua sorella?

di Nawart Press

“Undici donne che si sono recate in Inghilterra per sottoporsi ad aborto hanno acconsentito a rendere pubblici su Internet i loro nomi e volti,” ha pubblicato il quotidiano inglese The Guardian il 10 dicembre, durante la Giornata Mondiale per i Diritti Umani, presentando “un progetto senza precedenti”.

Se nel mondo sono tanti i paesi che ancora si oppongono all’aborto, l’Europa, con le dovute differenze sulle diverse restrizioni, è un’isola tutto sommato felice. Almeno finché si scopre che, poco distante da uno degli stati con una delle leggi sull’aborto più liberali nel continente, la Repubblica d’Irlanda, da cui provengono le “undici donne” , e l’Irlanda del Nord bandiscono quasi del tutto la pratica.

“Mi sono successe tante brutte cose nella vita, ma questa è di gran lunga la peggiore,” raccontava Catriona – nome di fantasia per proteggere la privacy della giovane – al The Guardian in ottobre. Catriona non si riferiva all’aborto in sè e per sè, sul quale aveva riflettuto a fondo ed era convinta di poter affrontare senza rimpianti, ma alla lunga trafila che l’avrebbe aspettata di lì a poco.

La storia di Catriona è in tutto simile a quella delle almeno 4500 donne che ogni anno si recano dall’Irlanda e dal Nord Irlanda in Inghilterra per sottoporsi all’operazione. Una storia drammatica e al limite dell’incredibile che le vede viaggiare in barca o in aereo, spesso sole e nell’arco di appena 24 ore, per mettere la parola fine al loro incubo in cliniche private contattate segretamente.

Tantissime donne, Catriona inclusa, non potevano crederci quando il medico di fiducia ha rinunciato ad operarle e infilato loro in mano un biglietto con il numero di un’altra clinica da contattare. E ancora più sbalordite quando hanno scoperto che la sede del centro medico era in Inghilterra. Perché mai andare così lontano per un’operazione così semplice?

Forse “semplice” non è la parola giusta, quando paziente e dottore in caso di aborto arrivano a scontare fino a 14 anni in Irlanda e addirittura il carcere a vita nel Nord del Paese, facendone la pena di gran lunga peggiore d’Europa. L’unica eccezione – che si traduce in poco più di una dozzina di interventi l’anno – si verifica se la madre è in pericolo di vita o rischia danni permanenti fisici o mentali.

Così, chi ha le possibilità economiche o è riuscito a raccogliere abbastanza soldi da amici e parenti, cosa non facile date le profonde radici cattoliche in ambo i paesi e i tanti taboo, affronta l’operazione di là del mare; chi non può, invece, è in bilico tra il tenersi un bambino indesiderato e il ricorrere ai metodi più disperati – e disparati – pur di interrompere la gravidanza.

Mentre nella vicina Inghilterra, terra promessa per tante donne irlandesi, si distruggono i falsi credo messi in giro dagli obiettori di coscienza in Irlanda – che “avvertono del 72% di rischio in più di contrarre il cancro al retto o al colon, e il 50% al seno, se ci si sottopone ad aborto,” come riporta il The Guardian – sono nate iniziative per “facilitare” il soggiorno delle pazienti impaurite.

La clinica BSAC di Liverpool, ad esempio, organizza i viaggi oltre mare suggerendo le fasce di prezzo più vantaggiose e lavorando round the clock il sabato, giorno festivo, per non far perdere giorni di lavoro alle pazienti. Inoltre, permette alle donne che non possono pagare la stanza d’albergo di riposare gratuitamente in clinica, prima di rimettersi ancora stordite sulla strada di casa. Il Network per il Supporto all’Aborto di Londra, invece, organizza raccolte fondi per garantire l’aborto sicuro anche a chi non se lo può permettere e nel solo 2014 è riuscito a portare a termine con successo più di 550 aborti tra Repubblica e Nord d’Irlanda.

In Irlanda un’iniziativa dall’incredibile successo, di cui ha parlato VICE News a ottobre, è stata la campagna organizzata da ROSA (o Reproductive Rights, against Oppression, Sexism and Austerity) assieme a un parlamentare irlandese – che rischia fino a 14 anni di carcere per questo -, che ha visto un bus di attivisti viaggiare per il paese e distribuire pillole per l’aborto (di mifepristone e misoprostol), approvate dall’Organizzazione della Salute Mondiale (WHO), per limitare le pericolose e dispendiose traversate via mare.

Se il Nord Irlanda per il momento tace, il vaso di Pandora sembra essersi spezzato nella Repubblica e il bando contro l’aborto ha tutte le carte in regola per diventare una questione fondamentale alle prossime elezioni di febbraio o marzo. Qualunque mossa per abolire l’emendamento richiederà un referendum, come è stato per il matrimonio tra persone dello stesso sesso lo scorso maggio, ma – viste le tante lobby anti-abortiste e il potere della Chiesa cattolica – c’è da aspettarsi una resistenza più decisa di allora.

Sempre che i governi di Irlanda e Nord Irlanda, “guardando i volti di queste donne – le undici donne che hanno deciso di uscire coraggiosamente allo scoperto qualche giorno fa- “si ricordino che quelle sono le loro sorelle, madri, compagne e le persone che vedono ogni giorno per strada”, come afferma il manifesto del gruppo X-ile Project che ha organizzato la campagna, e che questo non contribuisca a mettere la parola fine una volta per tutte a un sistema ingiusto e “inumano”.

 


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