Media, Arte, Cultura

La Siria non è un Paese per soli uomini

di Nawart Press

Sin da quando la mia rassegna stampa quotidiana aveva cominciato a infittirsi di nomi di battaglie e voci maschili di gruppi e brigate coinvolti nella guerra in Siria, non riuscivo a non pensare a una cosa. Se le donne curde, emancipate in politica e sul campo, erano entrate nell’immaginario collettivo già da tempo, non avevo ancora avuto il piacere di imbattermi in simili figure femminili sul fronte ribelle, malamente riunito attorno all’Esercito Siriano Libero (FSA), ma ancora fedele ai principi base di un’ormai datata Rivoluzione.

E’ vero che in tanti mi avevano parlato di donne con ruoli di primissimo piano nell’organizzazione e realizzazione delle missioni di attacco e difesa contro il regime di Assad e lo Stato Islamico, ma nessuno era stato tanto audace da parlarne pubblicamente. Ecco allora perché, quando ho letto che la siriana Zaina Erhaim, coordinatrice di progetti giornalistici in Siria per conto dell’Istituto di Informazione su Guerra e Pace (IWPR), era stata selezionata per il prestigioso Premio per la Libertà d’Espressione 2016 indetto da Index on Censorship, che verrà consegnato ad aprile, ho tirato un sospiro di sollievo. Quando poi ho scoperto dettagli in più non solo sul motivo della sua candidatura ma anche su un suo recente lavoro, ho sentito la necessità di parlarne apertamente.

Come riporta il sito di IWPR, Erhaim è una giovane trentenne nata a Idlib ed educata a Damasco che, mentre le sollevazioni popolari scoppiavano in Siria nel 2011, ultimava la laurea in giornalismo internazionale a Londra. All’ambita certificazione conseguita con successo nel Regno Unito, seguirono due anni da giornalista TV per la BBC e, al termine anche di questa esperienza, l’inaspettato ritorno nel 2013 ad Aleppo devastata dalla guerra, dove cominciò a lavorare per IWPR – e a scrivere regolarmente per tante popolari testate.

Il suo lavoro a IWPR si è concentrato principalmente sull’organizzare training professionali ad incirca 100 citizen journalists, tra cui una trentina di donne, che sono oggi tra i pochissimi individui in grado di fornire informazioni di primissima mano da Aleppo e dintorni. Tra i tanti stupefacenti risultati delle fatiche di Erhaim c’è però anche un documentario intitolato Syria’s Rebellious Women (Le donne ribelli siriane) dove, in maniera unica e originale, parla di alcune giovani attiviste che, invece di fuggire come milioni di altre, stanno dedicando la loro vita per aiutare il Paese caduto nelle tante trame di un terribile conflitto.

“Tra 10 anni,” ha detto Erhaim al quotidiano inglese The Guardian, “vorrei che le giovani che cercheranno informazioni in internet su cos’è successo in Siria in questi anni trovassero le prove del ruolo svolto dalle donne. E’ solo questo il motivo per cui ho girato questo film e per cui tante donne hanno rischiato la loro vita per prenderne parte.”

In 18 mesi Erhaim ha raccolto le potenti testimonianze di cinque sue amiche che, in modi diversi, hanno aiutato a documentare la guerra e a consegnare provviste e aiuti medici ai civili. In un paese schiacciato tra i due nemici uguali e contrari di Assad e dello Stato Islamico, dove le donne “si sentono spesso dimenticate” e “sono attaccate per atteggiamenti che  sono considerati inaccettabili da una morale sempre più rigida,” ricorda Erhaim, “noi siamo ancora qui e non molliamo.”

A “mollare” è stata solo una delle cinque donne immortalate dalla telecamera, Manar, che ha avuto improvvisamente paura non tanto per le ripercussioni della sua immagine pubblica su di sé, quanto sulla sua famiglia. Waed, invece, è riuscita a convincere i genitori e fratelli a rimanere in una delle aree controllate dal regime, e meno colpite dai bombardamenti, mentre lei si è trasferita ad Aleppo a lavorare come paramedico. “Quando gli uomini sono andati in prima linea,” racconta nel documentario, “ci sono andata anch’io. Quando gli uomini si caricavano le armi, lo facevo anch’io; quando lavoravano negli ospedali da campo, li ho seguiti anche lì.”

Poi c’è Ghalia, attivista per i diritti civili, che, dopo aver scampato tanti tentativi di venire uccisa, ha ammesso di rimpiangere la sua vecchia vita, “passata a cucinare e ad assettare la casa per la famiglia,” ma di non potere fare alcun passo indietro e rinunciare sia al suo lavoro di trainer per il primo soccorso, che alle tante coraggiose donne che vi partecipano.

Zein e Ahed lavorano entrambe come paramedici in ospedali da campo, da cui i veri dottori e le vere infermiere sono fuggiti da tempo. Nel corso degli anni sono state in prima linea in tante dimostrazioni e hanno pagato caro la loro impudenza. Zein ha passato 14 mesi in una prigione del regime, definita da lei stessa “un cimitero per i viventi”, e una volta uscita da lì sognava solo di unirsi all’Esercito Siriano Libero (FSA), ma si è scontrata con una realtà “spaccata tra FSA, il Fronte al-Nusra (filo qaedista) e lo Stato Islamico”, mentre Ahed è stata picchiata ripetutamente sia da miliziani governativi che islamisti.

I drammi di cui queste donne sono testimoni oculari ogni giorno le hanno allontanate da ogni speranza in una serena vita matrimoniale, ed è la stessa regista ad ammettere su Aljazeera English, di aver deluso il marito e il suo sogno di avere un bambino con lei, dopo aver assistito all’ennesimo mortale attacco aereo ridurre in cenere un asilo nido vicino a casa, stroncando la vita di decine di bambini al suo interno.

La Siria oggi, non solo in quanto vittima di una guerra che continua imperterrita da cinque anni, ma anche in virtù del rigido sistema islamista implementato da gruppi jihadisti in tante sue parti, è considerata un paese per soli uomini. Ma Erhaim ha deciso di squarciare quel muro di paura e taboo, e di far riflettere il mondo su come le donne siriane non siano solo vittime di schiavitù, stuprate o costrette a fuggire altrove, ma anche “donne rivoluzionarie”.

“Mentre la storia si dimenticherà di voi,” dice ancora Erhaim, “Io voglio solo dimostrare che c’eravate.” E noi speriamo che a ricevere il Premio di Index on Censorship ad aprile, su quel piccolo ma importante palco londinese, sia proprio Erhaim a rappresentanza delle tante donne siriane, libere, ribelli, e sconosciute, come lei.


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