Media, Arte, Cultura

#viajosola

di Nawart Press

Ieri mi hanno ucciso. Mi sono rifiutata di lasciare che mi toccassero e con un bastone mi hanno bucato il cranio. Mi hanno dato una coltellata e hanno lasciato che morissi dissanguata. Come un rifiuto mi hanno messo in una sacco nero, sigillato con nastro adesivo e mi hanno buttata su una spiaggia, dove ore più tardi mi hanno trovata. Ma peggio della morte, è stata l’umiliazione che è venuta dopo.

E’ l’inizio di un lungo post su facebook che è diventato virale in pochissime ore insieme all’hastag #viajosola, viaggio da sola. La studentessa paraguaiana che l’ha scritto, Guadalupe Acosta, ha voluto rispondere al posto di Maria Coni e Marina Menegazzo, due ventenni argentine violentate e uccise a fine febbraio da ragazzi che si erano offerti di ospitarle lungo una tappa del loro viaggio in Ecuador.

“(…) Hanno iniziato a farmi domande inutili. A me, ve lo immaginate? Una morta, che non può parlare, che non può difendersi. Che vestiti avevi? Perché eri sola? Perché una donna decide di viaggiare senza compagnia? Sei andata in un quartiere pericoloso, cosa ti aspettavi?”

E Guadalupe Acosta ha ragione: è proprio di umiliazione che si tratta. Per le famiglie, per le vittime e per tutte le persone che decidono di non rinchiudersi in casa e respirare l’aria stantia della loro piccola bolla privata.

Quante volte abbiamo sentito dire  “se l’è andata a cercare”, o meglio ancora “doveva/dovevano restare a casa”. Quante volte queste dichiarazioni sono uscite anche sui giornali italiani, o dalla bocca di politici se non addirittura ministri della Repubblica?

Perché una volta detto ciò, che cosa si risolve?

Non sarebbe forse meglio concentrarsi sul “fatto” e chiedersi “perché” certe dinamiche di violenza si riproducono quotidianamente, per strada e tra le mura familiari, oppure perché la vita di chi, giovane viaggiatore, ricercatore, giornalista o operatore umanitario che viene ucciso o rapito nel paese X, viene così brutalmente stroncata?

Non si tratta solo una questione di genere. E’ prima di tutto questione di rispettare la dignità di queste persone, da un lato, e di becera ignoranza dall’altro.

E per fortuna l’ignoranza è un male che è ancora curabile.

Basta iniziare a porsi delle domande. Quelle giuste però.

 

 

 


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