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Il cuore della Riforma del 3Settore?

di Alessandro Mazzullo

Da qualche minuto il Governo ha finito di presentare il Ddl sulla Riforma del Terzo Settore .

La mia maggiore curiosità? Le reazioni!

Chissà se e cosa verrà percepito come importante dai mass media, dalla società civile, dal mondo economico e politico? Chissà quali saranno le reazioni interne al Terzo Settore? Per una volta, almeno queste ultime, si spera siano largamente positive; tanto più in fase di Legge delega dove l’unico commento possibile è quello che ha ad oggetto principi e criteri direttivi su cui finora si è registrato un ampio consenso. Ma anche per esse, chissà cosa verrà percepito come importante?

Chissà se sarà chiaro che in ballo non vi è la sola stabilizzazione del 5 per mille, e nemmeno la prevista operazione di armonizzazione e semplificazione normativa, né le previste agevolazioni fiscali, né il servizio civile universale che, al contrario, dovrebbe attirare l’attenzione mediatica maggiore?

Questa Riforma mette in gioco la stessa concezione della Società civile e quindi dello Stato e quindi del Mercato.

In gioco vi è la funzione produttiva del Terzo Settore, la sua capacità di concorrere ad un sistema di Welfare che non è più monopolio dello Stato, e infine la capacità del Mercato di riorientare i suoi obiettivi in funzione di un interesse diverso dal mero profitto (l’impresa sociale).

Fra tutti i punti, ve ne segnalo uno che, a mio avviso, come un fil rouge, attraversa tutto il Ddl: il passaggio da una concezione no profit ad una not for profit del Terzo Settore e quindi la valorizzazione della sua funzione produttiva.

Rimandando per l’approfondimento giuridico ad altre sedi[1], mi limito a segnalare che se la legislazione delegata riuscirà davvero a dare attuazione a quei principi e criteri direttivi, ci troveremo di fronte ad un cambio non soltanto normativo, ma culturale, economico e sociale che consentirà al Non profit di finanziare i propri scopi di utilità sociale, attraverso lo svolgimento di attività commerciali, anche prevalenti. Il vero discrimen tra not for profit e for profit, per intenderci, non sarà come mi finanzio (con donazioni private, contributi pubblici o attività commerciali) ma cosa finanzio (il mio personale profitto o lo scopo di utilità sociale). Rispetto a questa possibilità, forse lo stesso istituto del 5 per mille, è già superato prima ancora di esser stato stabilizzato.

La sfida culturale, a questo punto, è quella lanciata dal Governo al Terzo Settore: riuscirà quest’ultimo a orientare la propria attività anche su logiche analoghe a quelle del Mercato, anziché limitarsi a richiedere al Mercato (e al Pubblico) di orientarsi al Sociale, destinandovi risorse pubbliche e private, sotto forma di meri “contributi a fondo perduto“?

E domani se ne parla insieme ai Notai presso il Consiglio Nazionale del Notariato


[1] In particolare, mi sia consentito il rinvio a due articoli di recente pubblicazione: A. Mazzullo, Verso una funzione imprenditoriale del Terzo Settore, in Cooperative ed enti non profit, n. 7/2014, pp. 15 e ss. e Idem, Ripensare la fiscalità del Terzo Settore: dal no profit al non profit, in Il Fisco, n. 28/2014, pp. 2769 e ss.


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