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Italexit – La strategia di Savona

di Alessandro Mazzullo

Difficile negare la drammaticità del momento politico che viviamo. Comunque la si veda, si tratta di un fallimento per tutti.

Mi piacerebbe ripartire dal cuore di questa crisi istituzionale, cercando di offrire elementi di analisi più che di scontro.

È o meno in discussione un’uscita del nostro Paese dall’Area Euro? Quali sarebbero gli effetti?

Perché il problema non può esser ricercato nel nome o nel curriculum del Ministro dell’Economia. Quanto nella proiezione esterna delle sue idee.

È giusto tener conto di questo effetto per un Paese sovrano? Se il Paese in questione ha un debito enorme, ed ha bisogno di chiederne ancora… credo proprio di sì!

Paolo Savona è persona degnissima che ha ricoperto incarichi importanti un po’ ovunque[1]. Ma soprattutto uno studioso importante ed autorevole in materia di economia politica.

A pesare sul suo conto, sono state, come noto, soprattutto le sue idee sull’Euro e la proposta di una exit strategy – il Pian B – .

La sintesi di tale piano è liberamente consultabile sul sito: Scenarieconomici.it. Lo stesso che ha ospitato le note di questi ultimi giorni del Professore.

Leggere il piano B che porta la sua firma è estremamente importante e l’invito è a leggerlo direttamente.

Lo studio parte da un’analisi sulle ragioni stesse del Piano:

  • disporre di un piano dettagliato per il passaggio ad una nuova moneta e delle correlate azioni di politica economica di supporto
  • disporre di un efficace strumento di potere contrattuale da utilizzare in funzione deterrente

Da pagina 23 in poi si parla delle modalità di gestione del Piano, affrontando un aspetto decisivo: la scelta per la segretezza o per la divulgazione del piano.

Come si legge a p. 23, tra i rischi della divulgazione (e quindi della discussione democratica del piano) sono espressamente indicati i seguenti: di un deflusso di capitali dal paese in previsione di una svalutazione; del calo dei titoli in borsa; della crescita dello spread dei rendimenti obbligazionari; di grandi e rapidi ritiri di depositi bancari, con possibili crisi bancarie; del rischio di speculazione e contromisure da parte degli altri paesi che fanno parte dell’Unione monetaria.

Fino a quando mantenere il segreto? Risposta (sempre a p. 23): “E’ semplice finché le persone coinvolte sono relativamente poche (predisposizione di piani d’azione), mentre è molto impegnativo quanto le persone coinvolte aumentano, vale a dire nelle fasi a ridosso dell’uscita (e.g. stampare nuove banconote)”.

Ecco perché:


[1] Ministro nel Governo Ciampi (aprile 1993 – aprile 1994); capo del Dipartimento per le Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri e Coordinatore del Comitato Tecnico per la Strategia di Lisbona, nel governo Berlusconi III; membro del Comitato OCSE per la standardizzazione delle statistiche finanziarie e del BIS Standing Committee on eurodollars; Presidente del Consiglio Tecnico Scientifico della Programmazione Economica; della Commissione di indagine sul nucleare in Italia; membro delle Commissioni Ortona e Jucci per la riforma dei Servizi di sicurezza, come esperto in materie economiche; componente, infine, dei CDA di numerose ed importanti istituzioni bancarie e aziendali del Paese. Vedi QUI

Quindi il piano dovrebbe essere gestito da una Regia, da un comitato ad hoc cui parteciperebbero il Presidente del Consiglio e altri membri designati da alcuni principali ministeri, vincolati al segreto di Stato. Nel caso in cui il piano perdesse la sua segretezza, e a questo punto mi chiedo se non l’abbia già persa, le conseguenze previste sono catastrofiche.

Nel caso inverso, ci sono speranze di attenuare il colpo. In questo caso, oltre alle inevitabili conseguenze sul sistema bancario e alla necessità di una sua repentina messa in sicurezza, colpiscono le conseguenze ineluttabili sul “Sistema privato”, cioè sulle famiglie.

Si tratta di uno scenario, firmato e sottoscritto da quello che poteva essere il futuro Ministro dell’Economia del nostro Paese.

Ne posso comprendere le ragioni, soprattutto in funzione deterrente e contrattuale per una riforma reale di un’Europa unita e non più germanicocentrica.

Ma il costo di tutto questo mi pare comunque altissimo. Così come l’aleatorietà del piano e della speranza di uscirne vivi.

Ma il costo più alto, mi pare quello democratico.

È davvero lecito e accettabile che un tale azzardo morale possa essere pensato, discusso ed attuato da un pugno di persone per conto di milioni, di un Paese, di un popolo, della sua Storia, delle future generazioni?

Lascio la domanda aperta.


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