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Novità (?) su appalti pubblici e non profit

di Alessandro Mazzullo

L’11 giugno 2020, la Corte di Giustizia (nella causa C-219/19) ha emesso una significativa sentenza in materia di enti non profit e partecipazione a gare di appalti.

Per la verità, ad essere significativa, è la vicenda in sé, più che la sentenza.

Quest’ultima dice qualcosa di scontato. Ma, a volte, la verità più scontata ha comunque bisogno di essere riaffermata.

In estrema sintesi, la Corte è chiamata a sindacare della legittimità della norma interna[1] che preclude agli enti non profit di partecipare alle procedure di affidamento di alcuni servizi specifici: attinenti all’architettura e all’ingegneria.

Per il Governo italiano, la ratio e la legittimità della norma si fonderebbero su questa doppia presunzione:

a)per questi servizi sarebbe richiesto un particolare livello di professionalità;

b)tale elevato livello di professionalità non potrebbe essere garantito da enti che non perseguono uno scopo di lucro.

La Corte di Giustizia, di grazia, ritiene che tale ragionamento sia privo di fondamento!

La professionalità di un’attività, aggiungo, non dipende dal suo scopo! Cosí come il suo carattere imprenditoriale che, come tale, ne presuppone la professionalità[2]. La lucratività soggettiva, come detto tante volte, è diversa da quella oggettiva.

La disciplina degli appalti pubblici, così impregnata delle logiche della concorrenzialità neo-liberista, è spesso prigioniera dei suoi stessi pregiudizi.

L’idea di fondo è che l’homo eoconomicus sia indotto a scambiare beni e servizi al solo scopo di trarne (anzi di massimizzarne) un’utilità personale. Magari a discapito dell’utilità altrui.

Il pensiero liberista è solito fondare il ragionamento a partire dalla celebre frase di A. Smith

Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse, e non parliamo loro delle nostre necessità, ma dei nostri vantaggi[2].

A. Smith, La ricchezza delle nazioni (1776), Torino, 1945, p. 16.

Ci si dimentica spesso che Smith, prima d’essere un’economista, è stato un filosofo morale. Meno famoso, ma non meno significativo, è l’incipit della sua prima importante opera – Teoria dei sentimenti morali –, ove si dice che:

Per quanto l’uomo possa essere considerato egoista nella sua natura ci sono chiaramente alcuni principi che lo fanno interessare alla sorte degli altri, e che gli rendono necessaria l’altrui felicità […] L’uomo desidera per natura non solo di essere amato ma di essere degno di amore.

A. Smith, Teoria dei sentimenti morali (1759), Milano, 1995, pp. 113-114.

Eppure il processo di ibridazione delle forme di impresa appare, ormai, difficilmente arrestabile.

Esso non si sostanzia più, soltanto, nel conio di nuove forme o qualifiche giuridiche (società benefit, imprese sociali, enti del terzo settore imprenditoriali, società sportive dilettantistiche, imprese culturali e creative, start up a vocazione sociale, ecc.).

La vera frontiera è l’ibridazione dell’esistente; l’allargamento dei confini concettuali che lo comprendono.

Come dimostrato dal nuovo codice sulla corporate governance[4] che, all’art. 1, ha espressamente previsto che: “L’organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile”.

Non più soltanto un successo basato sulla massimizzazione del profitto, dunque! Ma un successo necessariamente attento anche a temi della sostenibilità. Quanto meno in funzione servente rispetto allo scopo di creare valore, anziché profitto, nel lungo periodo.

Ecco perchè stupisce ancora la differenza tra la capacità di proiezione del for profit verso il non profit e la resistenza incontrata nel concepire il percorso inverso, soprattutto sul fronte dell'imprenditoria sociale. Non si tratta di rinnegare identità distinte, ma di allargarne la prospettiva concettuale e… giuridica! Ma ci arriveremo…


[1] Art. 46 Codice dei contratti pubblici (Dlgs. n. 50 del 2016) che introduce, per questi servizi specifici, un regime derogatorio rispetto alla nozione più ampia di “operatore economico” ammesso alle gare di affidamento, di cui all’art. 45.

[2] Ai sensi dell’art. 2082 è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata la fine della produzione e dello scambio di beni e servizi. Per approfondimenti, sia consentito il rinvio ad A. Mazzullo, Diritto dell’imprenditoria sociale. Dall’impresa sociale all’impact investing, Giappichelli, 2019.

[3] Sia consentito il rinvio ad a. Mazzullo, Il rovescio della moneta. Per un’etica del denaro, EDB, 2019, p. 39.

[4] Edito nel gennaio 2020 da ABI, ANIA, Assonime, Confindustria, Borsa Italiana S.p.A. e l’Associazione degli investitori professionali (Assogestioni).


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