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Gratuità e dono fattori dello sviluppo economico. Il mio intervento al Meeting

di Riccardo Bonacina

Gratuità e dono fattori di sviluppo? Per chi tra voi fosse perplesso per questo titolo o lo volesse confinare nell’empireo dei valori e delle ispirazioni ideali, proverò da dar carne e sostanza alla verità di ciò che questo titolo afferma.

Recentemente l’Istat ha certificato che più di 3 milioni gli italiani impegnano parte de proprio tempo settimanale nelle organizzazioni di volontariato per aiutare gli altri.

Nel luglio 2011, una ricerca Cnel/Istat ha stimato il tempo offerto dai volontari italiani in oltre 700 milioni di  ore, corrispondenti a quasi 400 mila individui che lavorino full-time per 38 ore settimanali e 48 settimane lavorative annue. Per un valore economico  pari a quasi 8 miliardi di euro. L’indicatore della Johns Hopkins University adottato dall’Ilo ed usato da Cnel/Istat  che ci dà questa misura, ci dice anche che un euro dato ai volontari corrisponde, per l’accensione della scintilla del gratuito, ad un ritorno economico di circa 12.

Secondo l’Istat più di 7 milioni di cittadini usufruiscono dei servizi delle associazioni di volontariato nei settori del socio-sanitario, sport, cultura, educazione, ambiente, ecc ecc.A inizio 2009 erano attive 13.938 cooperative sociali, pari al 19,5% del totale delle imprese cooperative e allo 0,3% del totale delle imprese italiane. Nel complesso le cooperative sociali occupano 317.339 lavoratori dipendenti. La coopera-zione sociale è stata in questi anni in grado di inserire entro un ciclo produttivo competitivo i lavoratori svantaggiati (oltre 30 mila) che le altre imprese non riescono ad integrare, risparmio di risorse pubbliche investi- te in servizi di cura e di contenimento che ne fanno uno dei migliori esempi di politiche attive del lavoro e di “welfare dello sviluppo”.

Ma la gratuità non si esprime solo in forme organizzate o produttive ma anche in comportamenti individuali.

Oltre 15 milioni di cittadini usano il 5 per millenella loro dichiarazione dei redditi e indirizzano parte delle loro tasse alle non profit, nel 2010 460 mln da cui il Governo senza spiegazioni né ai contribuenti né all’associazionismo ha sottratto 80 mln!.

Nonostante la crisi economica, nel 2011, il 44% della popolazione ha effettuato una donazione. E ben un italiano su tre (il 33%) lo ha fatto più di una volta nell’anno (circa 16 milioni).

Gli italiani sostengono con l’adozione a distanza 1 milione di minori in ogni parte del mondo, famiglie, scuole, singoli per un impegno di circa 500 milioni, nessuno Stato oggi, men che meno quello italiano stanzia così tanto per la cooperazione allo sviluppo destinata alle partnership locali.

Potremmo continuare a lungo nell’esplorare questo impressionante giacimento di gratuità e di energia (che caratterizza da secoli il ns Paese), parlare delle reti familiari, del sistema delle emergenze garantito da antiche associazioni come le Misericordie, della ricerca scientifica di enti non profit (praticamente l’unica ricerca scientifica attiva in Italia), dell’assistenza domiciliare (con le eccellenze di Vidas, Fondazione Floriani, Ant), delle fondazioni di origine bancaria (vero partner finanziario del non profit che qualcuno vorrebbe scippare) e altre miglia di esperienze (PER LE QUALI VI RIMANDO ALLA LETTURA DI VITA CHE ESISTE PER RACCONTARE QUESTO UN TERZO DELL’ITALIA E PER DARLE VOCE E RAPPRESENTANZA), piccole magari ma diffuse e capillari, e senza le quali le nostre città e il nostro Paese sarebbe più simile a un deserto che a una società.

Non c’è Stato che può prendere il posto di tutta questa energia. Solo dei pazzi prescinderebbero da tutto questo. Sbagliano quelli che attaccano la società civile per difendersi dall’antipolitica, è un errore storico, un’enorme miopia. La critica alla società civile salta a piè pari questo enorme dato di realtà che rende unico il nostro tessuto sociale nel mondo, rischiando di mortificare l’ultimo spazio di potere del cittadino che è quello della libertà di auto organizzarsi. La società è la prima opera pubblica, bisogna custodirla e nutrirla, ma per farlo bisogna riconoscerla, liberarla e favorirla.  E la politica di destra e di sinistra non vede tutto questo.

VEDETE, Passera ha annunciato l’esenzione dell’Iva sulle nuove opere infrastrutturali, proposta che è piaciuta a Confindustria e che il sottosegretario Catricalà ha apprezzato per la sua “compatibilità finanziaria ed europea”. Tradotti in miliardi, gli sgravi dell’Iva sulle infrastrutture potrebbero valerne 50! Ebbene sappiate che le Onlus non possono scaricare l’Iva per l’acquisto di beni strumentali (se prendi un ambulanza o un pulmino per il trasporto disabili l’Iva te la tieni sul gobbo). Caro Monti, caro Passera, cara Fornero La società è la prima opera pubblica, bisogna custodirla e nutrirla, ma per farlo bisogna riconoscerla, liberarla e favorirla. Vederla, non mortificarla, scippando 80 milioni dal 5 per mille che i contribuenti italiani hanno destinato al non profit in un atto civile sacro come la dichiarazione dei redditti.

La società è la prima grande opera infrastrutturale. Non mi stancherò mai di ripetere che la più grande opera pubblica, la prima e più necessaria, è la ricostruzione di una socialità dove sia possibile fidarsi uno dell’altro. Senza questa coscienza non si va da nessuna parte, perché la coesione sociale (che non è prodotta né dallo Stato né dal mercato) non viene prima o dopo lo sviluppo ma ne è il primo motore.  Il mercato vive di presupposti che consuma ma non è in grado di darsi: fiducia e reciprocità. E senza società civile lo Stato si riduce a procedura e a tecnocrazia e il mercato, alla fine, a una predazione di desiderio e risorse.

Parto da un’esperienza che molti tra voi conoscono e che in quest’ultimo anno ho avuto l’occasione di conoscere bene e frequentare.  La Cometa (mai nome pare tanto giusto) alle porte di Como, un cascinotto che è, mattone dopo mattone e fatica dopo fatica, diventato già un villaggio dell’accoglienza, un’oasi aperta alla città, dove i minori con disagio sono accolti da famiglie, studiano, giocano, vanno a scuola, imparano un mestiere. La Cometa è luogo abbacinante di bellezza. Tutto è curato e pieno di segni e senso, gli spazi, i colori, i gesti. Denso di senso in maniera direttamente proporzionale alla sua apertura alla città e al mondo. Questi i numeri di Cometa:

– 4 Comunità Familiari con 14 figli naturali e 24 in affido;

– 50 famiglie coinvolte nell’esperienza dell’accoglienza e dell’affido

– 90 bambini e ragazzi coinvolti nelle attività diurne

– 130 bambini e ragazzi coinvolti nelle attività della polisportiva

– 1.000 minori aiutati a recuperare la motivazione allo studio e reinserirsi nel percorso scolastico con specifici corsi d’orientamento nella scuola secondaria

– 300 le famiglie dei ragazzi complessivamente seguiti con continuità da Cometa

– 180 ragazzi inseriti nei percorsi di formazione professionale

– 250 aziende coinvolte nei percorsi educativi della scuola

– 200 volontari e 250 operatori retribuiti a vario titolo coinvolti nelle attività

– 8.000 circa le persone che nell’ultimo anno sono venute in visita in Cometa

Parlando con loro mi sono reso conto della situazione paradossale cui sono costretti tanti soggetti portatori di speranza e, proprio per questo, costruttori di pezzi di società nuova. Il paradosso è che proprio là dove si costruiscono esperienze reali di bene e di relazioni buone, non si è liberi di farlo.

La Cometa, nata dal gesto di gratitudine di due fratelli per un incontro che ha ridato senso ed energia alla loro vita, una gratitudine che è diventata una vera e propria onda costruttiva, si è dovuta strutturare, per operare, in sette (7 !) soggetti giuridici. Un’Associazione, una Fondazione, un’Associazione sportiva, una Scuola di Formazione per offrire percorsi di istruzione e formazione professionale per ragazzi in obbligo formativo che frequentano la nuova bellissima Scuola Oliver Twist, due cooperative e l’associazione Amici di Cometa Onlus. Ogni pezzo (e i lettori di Vita lo sanno bene) richiede di scalare montagne di burocrazia, di costosissima e faticosissima burocrazia, ogni pezzo per rendersi “riconoscibile” a chi governa, ogni pezzo per rientrare in quella che chiamano legalità e che invece è il regno del procedurale, regno capace di succhiare anche l’anima più nobile. Uno Stato serio e liberale  dovrebbe lasciare liberi i costruttori di socialità  limitandosi a controlli ex post sull’operato di tali soggetti. Invece no, i soggetti portatori di speranza e di socialità, fantasmi agli occhi del Codice civile mai riformato, sono costretti alle forche caudine per poter operare e rendersi utili alle comunità di riferimento.

Per ovviare a tale mortificazione ci vuole un’enorme forza morale e grande motivazione interiore, ma questo è patrimonio di pochi, e tra loro c’è Cometa, i più, invece, di mortificazione in mortificazione, snaturano il motivo per cui sono nati.

Cambiare questo assetto letteralmente malefico è il contenuto ultimo del tentativo editoriale di Vita per questo vi chiedo di seguirci e di incoraggiarci.

Credo che più che mai oggi ci sia un solo punto possibile su cui far leva per evitare la catastrofe e l’immiserimento, e, se possibile, per una ripartenza del Paese. Una ripartenza, una riaccensione, senza la quale parlare di crescita in piena recessione è peggio di un esercizio retorico, è esercizio patetico chiunque lo faccia.  Questo punto di ripartenza ha a che fare con il risveglio dell’io, della soggettività di ciascuno di noi, delle comunità. E la gratuità è la scintilla prima e originaria di ogni gesto, ed è l’unica scintilla che può nutrire socialità e comunità.

Lasciatemi citare un grande poeta di questa terra Tonino Guerra, che fu sceneggiatore del penultimo film di Tarkosky, ospite più volte qui al Meeting, Nostalghia.

Il protagonista del film dice in un passaggio cruciale: “La strada del nostro cuore è coperta d’ombra; bisogna ascoltare le voci che sembrano inutili; bisogna che dai cervelli occupati dalle lunghe tubature delle fogne e dai muri delle scuole, dagli asfalti e dalle pratiche assistenziali, entri un vento nuovo.  Bisogna riempire gli orecchi e gli occhi di tutti noi, di cose che siano all’inizio di un grande sogno. Qualcuno deve gridare che costruiremo le piramidi.  Non importa se poi non le costruiremo. Bisogna alimentare il desiderio. Dobbiamo tirare l’anima da tutte le parti come se fosse un lenzuolo dilatabile all’infinito. Se volete che il mondo vada avanti dobbiamo tenerci per mano”.

Questo è il mio augurio a tutti noi


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