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Politica & Istituzioni

Lettera di un’insegnante. Se tutto questo vi sembra equo e giusto

di Riccardo Bonacina

Ricevo una lettera di un’insegnante non anora stanca o sconfitta, ma amareggiata per la scarsissima considerazione in cui chi Governa tiene il ruolo degli insegnati e la funzione della scuola. Scuola a cui si continuano a sottrarre risorse. Mentre i magistrati…

Lo scorso 8 settembre rivedo dopo tanti anni un amico dell’Università, lui faceva legge , io lettere. Lui ora fa il Gip al Tribunale di Milano e io l’insegnante di lettere alle medie. Entrambi siamo entusiasti del nostro lavoro, ma questo non impedisce di scambiarci le reciproche preoccupazioni.Lui si lamenta perché dice che il Tribunale, chiuso da 20 luglio riaprirà solo il 16 settembre, così è costretto ad andare in ufficio quasi di nascosto per portarsi avanti con “le carte”. Io, invece, sono tornata a scuola il 1 settembre per le riunioni di programmazione in un panorama abbastanza desolato perché ancora non si sa quanti fondi avrà l’istituto, se li avrà, e quindi se sarà possibile programmare attività pomeridiane qualificanti come corsi di musica o latino, attività molto gradite ai genitori e utili per i ragazzi che, fuori da scuola, non possono permettersi altre attività. Insegno da trent’anni e penso sia il lavoro più bello del mondo, lavoro in classe e lavoro a casa, ogni giorno, per preparare le lezioni, per aggiornarmi, per correggere compiti e verifiche in modo chiaro per loro  (insegno lettere e vorrei che i miei ragazzi imparassero a scrivere!), lo sanno i miei 4 figli che hanno spesso sopportato una mamma prof. Leggo ora la notizia che aumenteranno le ore di insegnamento in classe degli insegnanti, forse 24 o 26, andremo qua e là in diverse classi a coprire le assenze di colleghi di altre materie chiudendo così la porta in faccia a qualche giovane prof precario e speranzoso di mettersi alla prova (e poi mi vedo male a far fare compiti di inglese, poveri ragazzi!).

Intanto, dovevo avere lo scatto di anzianità nel 2011 ma fu congelato e ora scopro che se va bene lo vedrò nel 2017 a 61 anni, da qualche anno sogno di vedere il mio cedolino toccare quota 1.800 euro, ma rimarrà un sogno perché è fermo alla quota del 2004. Non sono attaccata ai soldi, non sono povera anche se il potere di acquisto dello stipendio smagrisce sempre più, ma mi sembra davvero assurdo che una prof a fine carriera guadagni, se va bene, solo il 30% in più da quando cominciò la sua avventura. In questi stessi giorni leggo che la Corte Costituzionale (guarda a caso organo della stessa corporazione) salva dai tagli gli stipendi i Paperoni della Pubblica amministrazione e dei magistrati (che hanno ferie più lunghe degli insegnanti, orari non definiti, nessun compito a casa ma consulenze e perizie pagate extra) e che dopo trent’anni di carriera hanno uno stipendio di oltre 6.600 euro, il 100% in più di inizio carriera.

Da arrabbiarsi, non solo per una questione di bieca moneta, ma per la diversa considerazione verso due categorie, entrambe credo, con grandi responsabilità: la giustizia e l’educazione.  In un momento di grande crisi, se l’uomo non è educato dalla famiglia e dalla scuola, se non è aiutato ad apprendere e ad essere curioso, se non è incitato a impegnarsi e a esercitare la propria libertà, che società ne verrà fuori?

Ciò che più mi fa arrabbiare è che la nostra società ha deciso di considerare l’educazione e la scuola come funzioni accessorie, inutili, senza ruolo sociale e senza considerazione. Alla scuola e ai suoi prof si delega ogni cosa, l’assistenza sociale, la socializzazione, l’impatto con qualche regola, l’alfabetizzazione, ma intanto le scuole quasi cadono e i prof sono soli nel cercar di far fronte a tutto, persino a genitori che sempre più giustificano ogni cosa dei loro “bambini”. Avanti così?

Maria Grazia, insegnante a Milano


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