di Riccardo Bonacina
Scriveva Dino Buzzati, usando un bellissimo verbo manzoniano, che il Natale «precipita su di noi, ogni 364 giorni passando intatto tra i cataclismi dei secoli e ogni indifferenza». Sara così anche quest’anno, nonostante i tagli alle luminarie e i nostri cataclismi: la sfiducia, la disoccupazione, le tasse, l’obiettivo impoverimento, la confusione politica. Precipiterà, è il mio augurio, facendoci sobbalzare dalla nostra indifferenza e dal nostro cinismo, e questo basterà a scuoterci dall’apatia asfittica o dal rancore distruttivo a cui tutto sembra condannarci.
Come scrive un grande pensatore laico,
Giorgio Agabem nel bel libro
Vita-Feltrinelli da poco uscito,
“Del Cooperare” (leggetelo e regalatelo), «
Per capire che cosa significa la parola “futuro”, bisogna prima capire che cosa significa un´altra parola, che non siamo più abituati a usare se non nella sfera religiosa: la parola “fede”. Senza fede o fiducia, non è possibile futuro, c´è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualcosa».
Il nostro problema, individuale e collettivo trova infatti la sua radice proprio qui. Anche la parola fede si è corrosa e corrotta in questi anni, come la parola economia, la parola amicizia e persino l’espressione con cui ci chiamano i nostri figli, “papi”. Attraversiamo un’epoca in cui la fede è atto talmente irrazionale da credere che ciascuno può compensare la sofferenza con la gioia di apprendere che è stato liberalizzato il gioco del poker online, insomma la ricompensa dei sacrifici è la scommessa sulla fortuna ai giochi d’azzardo! Si veda il servizio di copertina.
Bisognerebbe tornare a frequentare i grandi pensatori da Tommaso d’Aquino a Karl Marx (si proprio lui) per ri-capire come la fede sia atto della ragione indispensabile alla vita e alla costruzione di futuro…