Politica & Istituzioni

Elezioni 2013: passaggio d’epoca?

di Riccardo Bonacina

Comunque la pensiate e comunque vadano a finire, le elezioni 2013 segnano dei passaggi epocali che è importante sottolineare ed avere ben chiari.

Finale di partito. Dal 1997 ad oggi nessuna nuova forza politica (e ne sono nate tante), si è più chiamata “partito”. L’ultimo Partito a nascere e a mettere nell’insegna questa definizione è stato il Partito Democratico. La fiducia nella forma partito, la sua reputazione, il riconoscimento di questa forma come percorso di partecipazione è oramai pari a zero, a voler essere generosi. È coscienza comune e diffusa che la forma partito, il suo corrompersi e allontanarsi dalla realtà, è una delle cause dei problemi che stiamo vivendo, non la sua soluzione. L’avvitarsi e il degradarsi della forma partito su se stessa è uno dei problemi della nostra democrazia sempre più solo formale. Eppure, se questo dato è chiaro a tutti nel suo continuo ondeggiare tra politica autoreferenziale e d’élite e antipolitica, non è chiaro chi e che cosa ne prenderà il posto. L’unica cosa certa e che siamo alla fine di un processo lungo quasi due secoli e che una storia nuova resta tutta da scrivere. Sappiamo che per ora c’è stata una rivoluzione soprattutto, se non solo, nominalistica: il profluvio di “civismo”  e di “civile” ne è la testimonianza. Una certa, anche se ancora timida per la mancata riforma della legge elettorale, accortezza nel comporre le liste è un pallido segnale. Ecco allora le liste civiche, le scelte civiche, le rivoluzioni civiche e i patti civici che si sono affacciati in queste elezioni. Un cambiamento nei nomi e in alcune regole che segnalano il pertugio di un cambiamento possibile, ma resta tutta la sostanza del cambiamento ancora da fare. Da segnalare come piccolo segno di speranza per un rinnovamento ciò che il PD ha fatto con le primarie sia pur con tutto il peso e i trucchi di un apparato Novecentesco.

Anche per questo VITA insieme a Feltrinelli ha scelto di pubblicare come secondo volume della sua collana tre saggi del 1943 di Simone Weil introdotti da Marco Revelli e con una post fazione di Andrea Simoncini. Il libro si intitola “Senza partito” (in libreria il 6 marzo) e ripropone l’interrogazione della Weil sul “bene”  che per sua natura è “universale”, non può essere spartito o immaginato per separazione e contrapposizione. La forma partito è contemporaneamente particolare e totalitaria: obbliga a pensare per contrapposizione, opera per scissione verso l’esterno, ed esercita una pressione uniformante verso l’interno e come tale, favorisce il vizio e penalizza la virtù. Soprattutto quel vizio dell’ozio che nell’etica della Weil appare il vero peccato capitale: la tentazione, quasi irresistibile, della pigrizia del pensiero («Non c’è nulla di così confortevole del non pensare»).  Ecco, deve essere chiaro a tutti noi, che la partita politica si gioca ben prima e ben oltre le vicende partitiche, si gioca nelle nostre vite, nelle nostre esperienze comunitarie, nelle nostre costruzioni sociali. La politica (e i politici), senza soggetti e opere sociali è destinata ad essere preda di vizi e di poteri. Se nella società avanza il deserto la politica non potrà che essere autoreferenziale, chiusa nei suoi palazzi e con un rapporto con la società solo strumentale al consenso, di tanto in tanto, quando serve, se proprio serve.

I candidati social. Come ben racconta la copertina e l’ampio servizio del nuovo numero di VITA in edicola e in libreria, mai come in queste elezioni (politiche ma anche regionali) le liste hanno fatto posto a leader della società civile organizzata. Quasi una ventina tra presidenti e direttori di grandi organizzazioni andranno in Parlamento. È una buona notizia? Intanto è davvero una notizia, e io credo sia anche buona, se, come sottolineato dalla Weil, questa pattuglia di candidati darà prova di pensare non per contrapposizione ma tesi al bene che per sua natura è universale. Il fatto che tutti abbiano sottoscritto la Piattaforma del Comitato editoriale di VITA è un buon dato di partenza. In Parlamento troveranno altri parlamentari sensibili e attenti alle questioni e ai bisogni urgenti che non sono né di di destra né di sinistra. Insieme vivifichino l’Intergruppo della Sussidiarietà che ha sofferto l’ignavia dell’intero parlamento impegnato a votare 55 fiducie in 13 mesi. E si impegnino a portare a casa (alla casa comune che è il nostro Paese) almeno due provvedimenti l’anno. Søren Kierkegaard, dopo aver ricordato che l’angoscia è la vertigine della libertà, aveva messo in guardia: questa «è una faccenda pericolosa per gli smidollati» e io aggiungerei per gli uomini soli. I nuovi Parlamentari prendano come impegno quello di un lavoro comune tra loro e con i corpi sociali intermedi, un lavoro trasparente, aperto, pubblico. Che VITA si impegna a redincontare e ad accompagnare.

 


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