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Chi se ne frega di Daniza

di Riccardo Bonacina

 

Mi pacerebbe cavarmela, a fronte della impressionante confusione morale e intellettuale, con un “Chi se ne frega di Daniza”, senza aggiungere altro, e farlo con vero fastidio visto che dal 15 agosto scorso in questo Paese sembra sia impossibile parlare d’altro che non dell’orsa. Ma invece bisogna provare a rendere ragione anche del fastidio. Ci provo, reagendo all’onda di stupidità e di esagerazioni, dalle petizioni online agli insulti a cercatori di funghi e contadini e allevatori, dalle denunce dell’Aidaa che andranno ad aggiungersi ai milioni di cause civili aperte in questo Paese ai linciaggi virali ad amministratori che tra l’altro sono stati protagonisti del ripopolamento della popolazione di platigradi negli ultimi 10 anni.

Ci mancava poi l’hashtag di Grillo #giustiziaperDaniza per farmi sbroccare del tutto. Ma questo è il Paese reale o ne è la sola rappresentazione distorta da una classe intellettuale e giornalistica una volta di più stonata rispetto alla realtà e all’esperienza delle persone? Propendo per la seconda ipotesi perché per stare ai dati di realtà la mamma orsa, almeno così pare, non è stata uccisa con premeditazione ma per un incidente (il Plantigrado non ha retto la dose di narcotico che pure era stato dosato in maniera prudente sulla mole). Del resto, lo dice uno che per un’intera estate ha frequentato ospedali, sappiamo benissimo anche noi umani quanto sia rischiosa l’anestesia. Ma tutto ciò è troppo umano e reale e poco adatto per le gazzette e i pennivendoli.

Slavoj Žižek, filosofo sloveno autore di Vivere alla fine dei tempi (Ponte alle grazie, 2011) ha recentemente ricordato che molto tempo fa Friedrich Nietzsche scrisse che la civiltà occidentale stava imboccando la via dell’Ultimo Uomo: una creatura apatica, incapace di impegno, di grandi passioni e grandi sogni, solo piccole e insulse indignazioni un giorno sì e un giorno no. Un individuo stanco della vita, che evita qualsiasi rischio personale e preferisce la mobilitazione a distanza e che si accontenta di condurre un’esistenza confortevole e sicura. «Un po’ di veleno di qui e di là: ciò produce sogni sgradevoli. E molto veleno, infine, per una gradevole morte. Abbiamo i nostri svaghi per il giorno e i nostri svaghi per la notte: ma pregiamo la salute.  “Noi abbiamo inventato la felicità”, dicono ammiccando gli ultimi uomini».

Ecco credo che il caso Daniza, l’ansia per i suoi due orsacchiotti che se la caveranno alla grande, me lo auguro almeno, nonostante le lacrime e le angosce dei tanti animalisti, certifichi di quanto siamo dentro l’epoca dell’Ultimo uomo, se non siamo già andati oltre.

Indignarsi non basta, l’ho ripetuto qui tante volte, bisogna impegnarsi, ma se proprio lo si vuole fare i motivi per indignarsi e per incazzarsi sono tanti, troppi e non possono essere sospesi per un mese od oscurati.

Nei primi 8 mesi del 2014 sono morti sui luoghi di lavoro 423 lavoratori, se si aggiungono i morti sulle strade per lavoro si superano i 900 morti. L’aumento dei morti sui luoghi di lavoro rispetto ai primi 8 mesi del 2013 è del 7,6% e questo nonostante si siano persi per la crisi milioni di posti di lavoro.

Quest’anno sono morte o disperse nel mar Mediterraneo quasi 2.000 persone, nonostante gli sforzi dell’operazione “Mare Nostrum” che ne ha salvate oltre 100.000. Il 2 agosto 2014 un’imbarcazione con 550 persone a bordo, soprattutto siriani, si è ribaltata a 50 miglia dalla coste della Libia, dove era partita. ‘Solo’ 270 i superstiti salvati dalle navi di Mare nostrum, due i corpi recuperati. L’insostenibile conto dei dispersi? Ben 280. Tra essi, decine di minori, giovani donne, molti delle quali erano stati visti dai parenti sopravvissuti per l’ultima volta in mare con i salvagente. Parenti che sono ancora oggi disperati, distrutti dal non sapere del tutto che fine hanno fatto i propri cari, alcuni rassegnati, altri che sperano ancora in una chiamata telefonica, in qualche miracolo sempre più improbabile con lo scorrere dei giorni.Tra loro Rama, 8 anni. Mohamed, 5 anni. Omar, 3 anni. Israa, 1 anno. Dispersi dalla notte del 2 agosto, quando al largo della Libia, è avvenuto il naufragio della barca piena di migranti su cui viaggiavano con i propri genitori, la madre Tahani, 31 anni, e il padre Amjad Abdallah, 33 anni.

Ecco, solo una piccola porzione del troppo dolore che i media non sanno intercettare e raccontare e che perciò neppure intercettano la nostra indignazione, indignazione di chi sempre più spesso vive tra sè e di relazioni virtuali e non tra i propri simili.

 


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