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Coronavirus: quella mortalità invisibile alle statistiche eppure così reale

di Riccardo Bonacina

«Buona sera, è possibile fare un articolo per le persone che muoiono nelle case di riposo? In una sola dove lavora mia moglie in 4 giorni 10 vite umane se ne sono andate in silenzio senza contare i giorni i giorni precedenti, non si fanno tamponi e la stessa casa di riposo nega che sia corona virus la conta non è reale, io le scrivo dalla provincia di Bergamo. Grazie e Buon Lavoro e spero che lei sia bene Simone».

In queste settimane una redazione è anche un luogo dove tanti mandano messaggi, lettere, richieste di attenzione. Tra le tante ieri sera è arrivato il messaggio di Simone. E subito dopo, quello di Elena: «È tutto il giorno che piango. Mia mamma se n’è andata sola, senza nessuno che le tenesse la mano, e ora mi dicono stia in qualche cella frigorifera in attesa di cremazione e non si sa neppure dove. Non né giusto né umano!».

Ha ragione Giorgio Gori, sindaco di Bergamo che dice: «Le cifre ufficiali sono lontanissime dalla realtà. Il numero delle persone contagiate è immensamente superiore a quello che ci raccontiamo tutti i giorni. Qui non c'è persona che non abbia un parente, un amico, un collega, un vicino alle prese con il virus. Moltissime persone sono decedute, ma la loro morte non è stata attribuita al coronavirus perché sono morte a casa o in una casa di cura e quindi non gli è stato fatto il tampone. In queste settimane, soprattutto da chi è in prima linea, ho ricevuto messaggi che strapperebbero le lacrime anche a una statua».

Le case di cura per anziani al momento sono uno degli epicentri di questa mortalità invisibile alle statistiche del coronavirus eppure così reali e terribili. Quando il contagio arriva in una casa di cura, luoghi in cui le persone più vulnerabili di tutte sono concentrate in un piccolo spazio, la sua diffusione è rapidissima. Il sovraccarico degli ospedali e delle infrastrutture necessarie al trasporto dei malati nelle province più colpite fa sì che soltanto i casi più gravi vengano ricoverati. Centinaia di persone in età a rischio e con sintomi sospetti – febbre e difficoltà respiratorie – vengono lasciate dove si trovano, mentre le autorità sanitarie sono costrette a dare la priorità ai casi più gravi. Nella sola provincia di Bergamo, dove si sono contati 1.959 decessi su 4.305 contagi, la situazione è precipitata mercoledì sera, al punto che è stato necessario far intervenire l'esercito per trasportare 65 bare nei cimiteri di Modena e Bologna perché l’unico forno crematorio di Bergamo già funziona H24 e non ha altre disponibilità. La più grande agenzia di pompe funebri della zona, Cfb, dal 1 °marzo al 188 marzo ha effettuato quasi 600 tra sepolture e cremazioni. «In un mese normale ne facciamo circa 120», dice il titolare, Antonio Ricciardi. «Una generazione è morta in poco più di due settimane. Non abbiamo mai visto niente del genere, e ti vengono le lacrime agli occhi».

Sono 300mila i nonni ospitati in 7mila strutture da nord a sud dell’Italia e proprio queste strutture sono uno degli epicentri dell’attacco del virus. Ad Affori (Milano) in una casa di riposo 11 morti, a Mediglia (44 i decessi che si sono verificati in queste ultime settimane) a Barbariga (7 morti) e Quinzano nel Bresciano (18 morti), a Merlara nel Padovano a Gandino, in Val Seriana, in una casa di riposo con 150 ospiti. Stando a quanto riferito dal direttore sanitario della struttura Fulvio Menghini "una quarantina hanno la febbre" e "dal 24 febbraio ci sono stati 15 decessi". A Perledo (Lecco) un solo decesso ma 25 positivi 18 ospiti e 7 dipendenti infetti da Coronavirus. Strutture dove operatori e personale sanitario continua, scandalosamente, a combattere a mani nude.

Foto di Paolo Miranda, infermiere, terapia intensiva ospedale di Cremona


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