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Giuseppe Giuffrè, l’errore è suo. L’Italia non è l’America

di Elena Zanella

Quanto mi piacerebbe che un “Giuseppe Giuffrè” qualsiasi mi cercasse per donare 2 milioni di euro alle mie organizzazioni. Ma non sono così fortunata, purtroppo.

Da fundraiser, non riesco proprio a non pensarci.

Ho letto con stupore la sua vicenda sui giornali, signor Giuseppe. E poi ho ascoltato, con ancora maggiore stupore, le sue parole nella videointervista di Repubblica e sono giunta a una conclusione, gentile signore: sa cosa penso? Penso che sia colpa sua.

Eh sì, signore caro. Avrebbe dovuto seguire l’etichetta.

Avrebbe dovuto mandare un’email per presentarsi. Chiedere un appuntamento alla segreteria, magari a info@. Poi, forse, avrebbe anche avuto la fortuna di riuscire a farsi passare la segretaria di direzione. Avrebbe quindi potuto presentarsi per poi sentirsi dire di riscrivere per sottoporre la questione in modo da poterla vagliare attentamente. Magari le avrebbero pure risposto. O magari, fortunato lei, ce l’avrebbe fatta a farsi fissare un appuntamento, tra le 15 e le 15.30, badi bene, entro le prossime 6 settimane, s’intende. Eh sì perché chi conta è sempre occupato. C’è sempre qualcosa di più importante da fare. Ma una raccomandazione: meglio chiamare il giorno prima per confermare. Voglia mai…

Caro signore, ha purtroppo vissuto la condizione di trovarsi a fare anticamera come il più semplice degli uomini perché noi italiani, lo sa bene da italiano, abbiamo questa brutta abitudine: facciamo aspettare e se siamo in vena rispondiamo, ma non è detto. E lei ha atteso ma ciononostante non ha avuto soddisfazione e con le pive nel sacco, se n’è tornato a casa.

Arrabbiato, deluso e tradito dall’amor di Patria.

Ma non è sempre così, caro signor Giuseppe. Se avesse cercato solo uno dei duemila fundraiser in Italia, ancora pochi ma presenti, l’avremmo accolta a braccia aperte. E io, personalmente, quella limousine l’avrei pure affittata.


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