Diritti e salute
Legge sull’epilessia: iter lento per un testo inadeguato
Entro il 2031, il paese deve dotarsi di strumenti legislativi per la tutela delle persone con epilessia, anche al fine di agire contro stigma e discriminazione che sono tra le cause dei bisogni ancora insoddisfatti. Eppure, il testo in discussione è fermo da tempo ed è considerato da molti inadeguato

LLa discussione è ancora in agenda nella 10ª Commissione Permanente del Senato dove si è arenato l’iter parlamentare del disegno di legge numero 898 in merito alle disposizioni per la tutela delle persone affette da epilessia. I lavori sono fermi perché da tredici mesi si attende la relazione tecnica richiesta da tempo dalla Commissione Bilancio e di competenza del Ministero della Salute. «A distanza di tre anni dalla presentazione del primo testo, i lavori sono ancora in corso» fa il punto Oriano Mecarelli, presidente della Fondazione Lice Lega italiana contro l’epilessia. «Sono stati chiesti dei pareri alle associazioni e alle società scientifiche e questi pareri sono stati prontamente forniti. Noi seguiamo i lavori in corso nella Commissione ma se tutto va bene se ne parlerà per autunno». Per questo, diversi enti, tra cui la Società Italiana di Neurologia e la Lice, insieme alle associazioni di pazienti, hanno sollecitato un’accelerazione.
Non sono solo i tempi, ma è soprattutto il testo a creare scontento nel mondo dell’epilessia. La posizione che anima la quasi totalità delle associazioni e delle società scientifiche è che l’impianto della legge vada rivisto. «Dovremmo pervenire a un progetto di legge più snello, moderno, che parta dai bisogni delle persone con epilessia e che incida sulla loro vita, un testo più precettivo su alcuni aspetti chiave come la somministrazione dei farmaci a scuola, l’inclusione scolastica, la formazione e la sensibilizzazione nei luoghi di lavoro per promuovere l’inclusione e abbattere lo stigma, ma anche l’accertamento dello stato di disabilità» è il commento di Rosa Cervellione, avvocatessa e presidente della Federazione Italiana Epilessie Fie. «Le persone con epilessia hanno bisogno di una legge moderna, che parta dai loro bisogni e che dia risposte in termini di qualità della vita. Il testo attuale, pur mettendo in risalto agli occhi delle istituzioni l’esistenza dell’epilessia e la necessità di farsene carico, non risolve i problemi della comunità e ha dei caveat così grandi da annullare i benefici dell’avere finalmente una legge intitolata all’epilessia».
La disabilità
Il primo nodo, ancora irrisolto, riguarda il concetto di disabilità. «La disabilità viene automaticamente assegnata dal testo in discussione alla persona con epilessia al momento della prima crisi, prima ancora della diagnosi. Come a dire che senza disabilità non ci possono essere garanzie per le persone con epilessia, due terzi delle quali però non ha alcuna disabilità» evidenzia Rosa Cervellione. «La tutela dei diritti delle persone con disabilità è già prevista. Quella che qui sembra una concessione ai diritti è invece un aggravante dello stigma già presente in società».
La guarigione
Il secondo nodo, sul quale si è arenata la discussione, riguarda la differenza tra la “guarigione” e “risoluzione”: «Una diatriba francamente inutile» commenta l’avvocatessa. «Entrambi i due concetti esistono in medicina e fanno parte della storia di malattia. In alcuni, rari, casi c’è guarigione ma, siccome si sta parlando di diritti, sarebbe bastato fare in modo che i benefici previsti per la guarigione valessero anche per la risoluzione».
Zero finanziamenti
Il disegno di legge mira a garantire maggiore tutela legale, supporto psicologico e accesso a cure specialistiche per le persone con epilessia, 500mila in Italia, favorendone l’inserimento sociale, scolastico e lavorativo. «Questa legge che non prevede alcun impegno economico, è a isorisorse. È comunque importante in quanto affermazione del riconoscimento che c’è un problema di salute prioritario» per Oriano Mecarelli. «L’articolo più importante, quello si cui la discussione si è arenata e sul quale è arrivata la richiesta della relazione che sta bloccando l’iter, riguarda la creazione di un Osservatorio nazionale permanente, organismo composto da membri del Ministero, delle società scientifiche e delle associazioni, che si dovrebbe riunire regolarmente e fare molte cose». Infatti, l’Osservatorio, recita il testo, si occuperà «della raccolta dei dati epidemiologici, sanitari e sociali, della popolazione con epilessia; collaborerà alla stesura delle necessarie linee guida; contribuirà alla definizione e adozione, anche su scala regionale, dei Piani diagnostici terapeutici e assistenziali, dei percorsi inclusivi e dei progetti di vita, come pure alla revisione e aggiornamento delle tabelle di riferimento per il riconoscimento dello stato invalidante».
Non è un’opzione
In Italia 50.000 bambini e ragazzi e oltre 500mila adulti sono affetti da epilessia. I diversi disegni di legge si procrastinano da anni. Ma entro il 2031 l’Italia dovrà dotarsi di una Legge a loro tutela. Lo prevede il primo piano d’azione globale sulla gestione dell’epilessia e gli altri disturbi neurologici Igap 2022 – 2031, approvato dalla 75° Assemblea Generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Oms nel marzo 2022. L’action plan detta i fondamentali obiettivi per gli Stati Membri nei prossimi dieci anni: mira a incentivare i singoli paesi a rivedere la loro legislazione esistente, interventi legislativi per garantire tutele che mancano in ambiente scolastico e in ambiente lavorativo, abbattendo stigma, pregiudizi e conoscenze sbagliate che pesano drammaticamente sulle persone con epilessia.
Lo stigma
«La storia dell’epilessia può essere riassunta come 4000 anni di ignoranza, superstizione e stigma, seguiti da 100 anni di conoscenza, superstizione e stigma» scriveva Nature undici anni fa in uno speciale dedicato alla malattia. Avanzamenti nella conoscenza dei meccanismi di malattia e nelle possibilità di trattamento non sono stati accompagnati da sostanziali cambiamenti nei pregiudizi verso la malattia e chi ci convive, presenti pressoché identici in ogni paese del mondo. Altro dato pressoché invariato, pur nella varietà delle attuali opzioni terapeutiche, c’è il fatto che un terzo dei pazienti era allora e continua a essere resistente ai farmaci antiepilettici.
La congiura del silenzio
Questo fa sì che le persone con epilessia costituiscano una popolazione di malati stretti nella congiura del silenzio, spesso autoimposta per scampare allo stigma e cercare di integrarsi senza perdere il lavoro o anche solo la possibilità di svolgere attività sportiva. «Alla base dei bisogni insoddisfatti c’è lo stigma. La malattia viene considerata ancora come “non conosciuta” o una malattia psichiatrica e chi ne soffre è visto come persona inaffidabile perché da un momento all’altro potrebbe sentirsi male» ripete Mecarelli che ricorda come «tale stigma permanga e risulti essere identico e senza grosse differenze nei vari paesi del mondo».
La nascita di una comunità
Forse qualcosa sta cambiando, anche grazie alla ricerca. L’Ibe ha iniziato un lavoro di mappatura delle legislazioni dei vari paesi. «Sono leggi che toccano i diritti fondamentali delle persone» spiega Francesca Sofia, presidentessa di Ibe International Bureau of Epilepsy, un’organizzazione senza scopo di lucro, presente in 104 paesi tramite 140 associazioni affiliate. Inoltre, nel 2023 è partito un ampio lavoro di indagine sui bisogni disattesi, condotto in fase iniziale in 15 Paesi (tutti i continenti rappresentati) dove è stata ottenuta autorizzazione dai comitati etici. Poi è stata aperta a tutti i Paesi: la Global Epilepsy Needs Survey. Le oltre 6mila risposte a questa prima indagine globale sono in fase di analisi da parte dei ricercatori. «La voce delle persone con epilessia ha un valore schiacciante. Oltre a questo studio di real world decisivo c’è un secondo lavoro, ugualmente ampio e internazionale, in corso sui caregiver» anticipa Francesca Sofia. «Sta nascendo così un movimento tra persone con epilessia, e sono 50 milioni nel mondo, che dovendo fare i conti con la cronicità e con la necessità di integrarsi in un tessuto sociale ancora discriminante finora non è riuscito a dare il via a battaglie civili per l’inclusione come è stato per altre patologie».
Foto di April Walker su Unsplash
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