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Se il corpo potesse parlare

di Maria Laura Conte

Ha un modo tutto suo, ma parla, e con parole efficaci.

Il nostro corpo parla agli altri di noi, esprime indirettamente anche quello che non riusciamo o non vogliamo dire. Lo fa continuamente, e ci tradisce: con la gamma infinita delle espressioni del volto, le rughe perfino, le braccia conserte a una riunione, le gambe che dondolano, lo sbadiglio trattenuto… Parliamo sempre, anche con la bocca chiusa. Basta osservarci.

Ma più interessante ancora è il sistema di codici che mette in atto il corpo, per dire a noi cose di noi stessi: lancia segnali, allarmi, a volte proprio grida. Il problema è la nostra distrazione. Non siamo disposti a prestargli sempre attenzione, o non subito. E allora son problemi.

Forse abbiamo disimparato la sua lingua? O siamo anestetizzati dalla facilità di assumere analgesici, che addomesticano i sintomi, li silenziano per un po’. Può essere che un banale mal di testa ci fermi? Non sia mai, nella civiltà che ha inventato l’Okitask. Eppure il corpo è testardo, insiste ad avvisarci.

Se potesse usare le nostre parole, direbbe qualcosa come: “Bene, hai voluto esagerare, megalomane, tirando tutti i giorni della settimana al massimo senza mai darmi tregua? Ora ti fermo io”. La sua vendetta può colpire ovunque. E allora il passo accelerato dei giorni feriali, incalzato da quelle che erano irrinunciabili cose-da-fare, si ferma per forza.

E via con un’emicrania o un mal di denti, o perché no, un torcicollo.

Un dolore alla schiena che costringe a letto: il medico sentenzia che è dovuto all’intestino. Ma che c’entra l’intestino con la schiena? Colpa di una gastrite. Gastrite? Gastrite da stress: “Forse sei sotto pressione, chiede il dottore – hai qualche preoccupazione a casa o al lavoro?”.

Magari sono le gambe: hanno voglia di muoversi, liberare tossine nell’aria aperta, e allora te lo chiedono inceppando qualche altro organo, potrebbero essere perfino i reni a ribellarsi.

O le ginocchia del runner fanatico: se quelle un giorno cominciano a criccare, son dolori. “Che ti ho fatto di male per meritarmi queste levatacce quotidiane – si lagnerebbe il crociato – ma con chi sei sempre in gara, non vedo nessuno intorno, ci sei solo tu”.

Come gravasse su di noi un sistema di KPI, gli indicatori di prestazione, ci costringiamo a misurare le nostre performance all’inseguimento di chissà quali record. Invece il corpo continua ad allertarci che avrebbe un suo ritmo, una sua natura, che saprebbe – lasciata tranquilla – tenere in equilibrio tratti di lentezza, leggerezza e velocità.

Certo è un equilibrio fragile, perché siamo fragili noi: siamo il combinato di circuiti integrati e complessi, di materia e spirito, per cui basta un granello e il circuito va in tilt.

La corsa è fatta di ritmo e di respiro, come la poesia. Non sarà certo un caso se nella metrica greca e latina l'unità di misura è il piede.

M. Covacich

La pressione arteriosa in questo è crudele. L’ipertensione suona come la vedetta del corpo esausto. Quando comincia a ballare, a salire e scendere, la pressione ti dice che è ora di prendere sul serio le tue arterie e il tuo cuore. Quelle che consideravi alleate scontate, sotto il tuo controllo razionale, invece, un giorno possono pure decidere di mollarti. E se il sistema circolatorio fatica, la situazione si fa seria.

Che cosa hai fatto a quelle povere vene? Le hai intasate fumando, bevendo e mangiando patatine fritte? O le hai lasciate sclerotizzarsi passando una vita tra divano e pc, pensando che i 6000 passi salvavita li farai domani? No, al contrario, sei sempre stato un salutista.

Allora che ti succede? Che sta dicendo il corpo di te, del tuo modo di vivere? Cosa comunica della parte immateriale di te, l’anima? Del tuo modo di alternare riposo e lavoro, affetti e cura, gioie e responsabilità? “Ehi tu – direbbero le arterie – cambia qualcosa". Oppure: "Arrenditi, accettati così, benvenuto nel mondo dei mortali".

Parla il corpo dei bambini, e usa quelli che i pediatri chiamano i dolori della crescita, e parla quello di chi invecchia. Scricchiola, svela, narra.

È letteratura pure la sua. Le parole sono importanti, possono cambiare il mondo, ma se sono importanti, allora bisogna anche saper dare loro ascolto. Vale anche per quelle del corpo: ascoltarle richiede sgomberare il campo, disporsi a lasciarsi guidare dal loro comporsi, anche se mantiene margini di inaccessibilità, di mistero.

Significa affidarsi alla sua speciale saggezza, alla sua intelligenza dei fatti e dei bisogni dell’anima, di carne e arterie, anima e ragione.

I segnali che manda il corpo (nausea? Mancanza del fiato? Dolori articolari? Calo della vista? Passo rallentato o tremore delle mani?) compongono una pagina della storia di noi, che procede su un piano temporale diverso, che non ci confessiamo. Perché? Per paura del declino? Paura della morte? 0 paura della vita?

Di sicuro questo incrocio di parole e sintomi, questa danza rivelatrice intorno al limite (il nostro) che il corpo pubblica a puntate, è il più grande romanzo che ci capiti di leggere. Unico, originale e con un finale mozzafiato.


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