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Amate le vostre città (insieme alla filantropia)

di Luigi Maruzzi

Ho lasciato Foggia trent’anni fa e solo quest’estate mi sono accorto di quanto fosse cambiata (almeno esteriormente) e diversa da allora. Il mio ‘ritorno sui luoghi’ comincia da Via Arpi, una specie di ‘appia antica’ per la città. L’imponente arco d’ingresso (‘Porta’) congiunge le sedi di due istituzioni: a destra il Conservatorio di musica e a sinistra il Museo archeologico. Ormai hai imboccato un itinerario che parla di cultura da secoli, è la stessa pavimentazione che ti conduce, accompagnandoti per un lungo tratto. Da uno dei lati (o da entrambi) della via, a distanze quasi regolari, si aprono spazi sufficientemente generosi per accogliere una piccola piazza. Anche se non conosci già questi posti, ti riesce ugualmente facile intuire certe cose. Dal numero e dal pregio degli edifici di culto che ‘abitano’ via Arpi si capisce subito che il motivo di tanto orgoglio artistico è rappresentato dalla loro prossimità ad un’importante realtà architettonica: la Cattedrale. Ma sono costretto a rinunciare a questa speciale visita; come faccio ad abbandonare la storica strada, ipnotizzato come sono dal chiarore riflesso dei suoi palazzi? Insomma, una semplice passeggiata si stava rivelando meno dozzinale del previsto e quello che oggi mi spinge a rievocarla è la sensazione di novità e di positiva sorpresa che ho provato nel riesplorare un pezzo di territorio che nei primi anni ottanta mostrava troppi segnali di deperimento per far sperare in un recupero di fisionomia urbanistica. Così, ho cercato di capire come fosse potuta avvenire questa trasformazione, mettendo insieme alcuni indizi: le opere di ‘bonifica’ e valorizzazione sembravano obbedire ad una logica progettuale, quella invocata dai finanziatori istituzionali, nella sua manifestazione più compiuta di buone prassi. Ora, non voglio negare gli eventuali meriti e la lungimiranza degli amministratori locali, ma ho notato che Via Arpi è anche il quartier generale di una fondazione di origine bancaria (http://www.fondazionebdmfoggia.com/default.asp); e non c’è nulla di strano se in questi anni un ente privato ha saputo intervenire sui beni culturali cercando di rispondere ad un bisogno di bellezza, di decoro e di rivitalizzazione della coscienza storica (pre-condizioni per lo sviluppo di altre attività che tutti conosciamo) a diretto vantaggio della comunità locale e – aggiungerei – dei visitatori esterni. Certo, da sola la Fondazione Siniscalco Ceci non avrebbe potuto fare tutto quello che ho avuto la fortuna di ammirare: dal restauro delle chiese alla ristrutturazione e rifunzionalizzazione di edifici che ospitano la giovane Università. Ma resta significativo che la mappa ‘filantropica’ della città si sia estesa. Ho proseguito la passeggiata con la riscoperta di un altro quartiere ricco di una certa tradizione, collocato alle spalle dell’Accademia delle Belle Arti. Non potevo pretendere di meglio. Ciao Foggia (e grazie, Mario, che mi hai accompagnato), chissà quando potrò provare nuovamente il gusto delle tue delizie così umili eppur speciali: il caffè servito con l’antico rito (adattato però alla crisi in corso), l’aragosta (mignon e maxi), la pizza (ad altezza di torta). Il mio visto turistico è scaduto e Milano non ha voglia di attendere ancora.


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