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Il tesoretto delle Fondazioni

di Luigi Maruzzi

Da parte di molti enti nonprofit arrivano quesiti sull’aiuto economico che possono continuare ad aspettarsi dalle fondazioni di origine bancaria (in seguito, “Fondazioni”). Questa sollecitazione ci ha portato a  sviscerare il problema nei termini più oggettivi possibili cercando di utilizzare le fonti informative che attualmente sono a disposizione del pubblico (principalmente: sito internet dell’associazione di categoria ACRI). Il nostro esame si è concentrato sui bilanci di un gruppo Fondazioni che reputiamo significativo in quanto, pur rappresentando solo 10 degli 88 enti interessati, nel 2012 ha generato un volume di erogazioni pari a circa il 63% dell’intero sistema.

Il mantenimento delle promesse già fatte

Il primo chiarimento che possiamo fornire riguarda il contenuto impegnativo delle delibere assunte dagli organi delle Fondazioni. Se un ente nonprofit partecipa al bando lanciato da una Fondazione e – a conclusione dell’iter valutativo – riceve una lettera firmata dal presidente, dobbiamo essere sicuri che la Fondazione manterrà la sua promessa. La risposta non può che essere positiva perché è la stessa ferrea logica contabile che lo impone. Facendo riferimento alle migliori prassi in materia, vediamo cosa avviene. Successivamente alla delibera viene registrato un debito in contabilità. I debiti per erogazioni deliberate compaiono regolarmente nel bilancio consuntivo che evidenzia la movimentazione dell’anno e la consistenza al 31 dicembre. Per fornire un dato concreto, basta sapere che il campione di Fondazioni da noi esaminate riporta un ammontare di oltre 600 milioni di euro per erogazioni deliberate nel solo anno 2012. Va poi aggiunto che, a contropartita del debito, nell’attivo di bilancio sussistono risorse investite in forme tecniche con caratteristiche di elevata liquidità (come fondi monetari, ecc.).

Per una migliore comprensione del meccanismo, è utile avvertire che il debito non viene saldato immediatamente perchè di norma l’erogazione della somma avviene per stati di avanzamento fisico e finanziario del progetto sostenuto dalla Fondazione. Perciò tale componente di stato patrimoniale presenta una sua dinamica peculiare: subisce decurtazioni progressive sino al suo azzeramento, in virtù dei versamenti fatti in favore delle organizzazioni beneficiarie e – in casi eccezionali – per effetto delle revoche di taluni contributi (dette anche “storni”).

Il sostegno economico dei progetti futuri

Il secondo chiarimento riguarda le erogazioni future, cioè i finanziamenti che la Fondazione intende mettere a disposizione del terzo settore negli anni a venire. Il tesoretto delle fondazioni ha un nome tecnico preciso e si chiama fondo di stabilizzazione delle erogazioni. Anche per chi non possiede una certa dimestichezza con i bilanci non è difficile scovare questo speciale strumento all’interno dei conti delle Fondazioni stesse. Naturalmente non tutte le Fondazioni dispongono di una simile voce nel proprio bilancio, per la quale l’ACRI utilizza questa definizione nell’ultimo Rapporto (XVIII): “Cuscinetto finanziario utilizzato nei periodi di basso reddito e ricostituito in quelli di avanzo più consistente”. Per una declinazione più ‘didascalica’ dello strumento possiamo fare riferimento a quanto scrive Fondazione Cariplo nel proprio bilancio 2012: il fondo di stabilizzazione “ha la funzione di limitare la variabilità delle erogazioni d’esercizio in un orizzonte temporale pluriennale e viene alimentato con parte dei proventi straordinari e con i proventi della gestione ordinaria eccedenti le previsioni dei bilanci preventivi, non destinati alle attività erogative; dallo stesso possono attingersi le risorse necessarie per lo svolgimento delle attività istituzionali degli esercizi nei quali i proventi non siano sufficienti a garantire il rispetto dei piani erogativi approvati o per finanziare interventi di rilievo non previsti o di carattere straordinario”.

Sulla natura del fondo in questione si scontrano due scuole di pensiero: tra chi lo considera componente del patrimonio netto a tutti gli effetti e chi invece lo classifica come una specie di fondo rischi se non addirittura un fondo per spese future. Ma tralasciando la disquisizione di carattere ragioneristico, resta il fatto che il fondo di stabilizzazione svolge un’importante funzione perché, se da un lato spinge le Fondazioni a pianificare oltre il breve termine, dall’altro consente alla singola Fondazione interessata di mettere in circolo le proprie risorse finanziarie secondo una scansione più costante ed una quantificazione più definita. In realtà, l’importanza attribuita alla presenza di tale disponibilità straordinaria non è dovuta all’importo assoluto che può raggiungere (mai sufficiente a fronteggiare i bisogni espressi dalla collettività, che rischiano di essere trascurati dal sistema di welfare pubblico); ma, piuttosto, appare giustificata dal suo potenziale impulso ad innescare processi virtuosi in controtendenza, soprattutto in un periodo caratterizzato da congiuntura economica sfavorevole.

Quali conclusioni per gli enti nonprofit

Il messaggio per gli enti nonprofit che sono soliti rivolgersi alle Fondazioni (o che intendono farlo in futuro) è abbastanza rassicurante: nonostante le difficoltà economiche scaturite dalla crisi che stiamo attraversando non sono poche le Fondazioni che hanno messo in atto una politica di accantonamento delle risorse capace di procurare provvista per il futuro. È evidente che se la crisi economica dovesse prolungarsi oltre ragionevoli previsioni, il fondo di stabilizzazione non potrebbe garantire la sostenibilità di volumi erogativi di particolare consistenza in quanto destinato ad esaurirsi. Tale scenario negativo rischierebbe di rivelarsi realistico nell’ipotesi in cui i rendimenti degli investimenti detenuti in portafoglio (inclusa la partecipazione nella banca di origine) dovessero risultare inadeguati ai volumi filantropici programmati.

Stiamo comunque parlando di un contesto che appare ben distante dalla situazione venutasi a creare per i pagamenti della Pubblica Amministrazione in favore dei propri fornitori. Per l’annosa e ben nota questione si tratta di una cosa diversa perché risulta evidente un sostanziale difetto di copertura in termini di risorse finanziarie effettivamente disponibili. Contrariamente a quanto si possa pensare, per sbloccare tali liquidazioni è necessario che lo Stato emetta ulteriori titoli di debito (destinati al pubblico dei risparmiatori). Peraltro, il meccanismo si rivela abbastanza paradossale perché lo sblocco dei pagamenti genera dei benefici per le stesse casse dello Stato-debitore (attraverso l’emersione di una rilevante quota di Iva).

Per quelle organizzazioni di terzo settore che hanno fatto lo sforzo di allineare la programmazione delle proprie attività anche alla dinamica dei tempi filantropici, la sicurezza monetaria ex ante si traduce in affidabilità preziosa per vari motivi, perché :  a)  garantisce l’accompagnamento finanziario dei progetti pluriennali già intrapresi fino alla loro ultimazione;       b)  offre una chiara prospettiva alle soluzioni di way out concordate tra organizzazione non profit e soggetto filantropico;    c)  fornisce input indispensabili per eventuali cambiamenti di rotta nelle attività di raccolta fondi;    d)  stimola a ricomporre il portafoglio progetti secondo una logica di sostenibilità.

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A suo modo, questo è un post scritto  ‘a quattro mani’ : ringrazio Clemente Savy per aver curato la raccolta dei dati di bilancio e per avermi supportato ‘criticamente’ nello sviluppo delle mie riflessioni.


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