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Ogni goccia ha il suo tormento . . . #menotassepiùerogazioni

di Luigi Maruzzi

Il tempo delle c.d. erogazioni a pioggia è finito da parecchio. E pure la vecchia beneficenza non c’è più. Le regole del gioco sono state modificate, e così le fondazioni di origine bancaria hanno cominciato a fare sul serio. Bisogna dare risposte efficaci e innovative ai bisogni di oggi? Allora, mettiamoci a studiare il problema,  coinvolgiamo gli operatori più prossimi,  proviamo a scrivere dei bandi ben strutturati, impariamo a valutare le proposte con distacco e attenzione alle new entry, scendiamo in campo con qualche progetto condotto direttamente da noi.

Sono pochi quelli che avrebbero scommesso sulla riuscita di questo nuovo corso, e intanto sono trascorsi 23 anni dalla nascita (legale) della prima fondazione di origine bancaria.  Poi il numero é cresciuto fino a raggiungere 88 enti: quasi una mappa geografica del Bel Paese (se non fosse per lo svantaggio del Sud, con poche presenze). In molti casi sono stati fatti investimenti significativi nella costruzione della tecno-struttura: regole, processi, procedure e risorse umane al servizio delle organizzazioni che vogliono accedere ai finanziamenti o che stanno realizzando il proprio progetto grazie ad un finanziamento già ricevuto. Senza mai toccare, però, le cifre di fondazioni americane (o perfino europee) che ingaggiano apparati di 400 persone, se non superiori.

Lascio da parte le polemiche sul difficile rapporto tra filantropia e governance delle banche italiane. In teoria sarebbero giustificate, in pratica divengono dannose perché malposte e spesso strumentalizzate. Io mi occupo di erogazioni e resto fortemente preoccupato per quello che osservo: sono moltissime le organizzazioni nonprofit che –  ormai private  del sostegno promesso dall’Ente locale – reclamano l’attenzione dei pochi soggetti (fra cui compaiono senza dubbio le fondazioni di origine bancaria) disposti a credere nel futuro delle loro idee. A volte si tratta di idee che si presentano precarie, destrutturate e accompagnate da un’illustrazione inadeguata (altro che business plan!). Ma più spesso ci troviamo di fronte a iniziative che – discostandosi dalle razionali previsioni – si rivelano utili, vantaggiose e (posso dirlo?) salvifiche: e non c’è da meravigliarsi di questo, se parliamo di bisogni come la casa (social housing) o l’integrazione sociale. Che fine farebbe la domanda di supporto (non solo economico) per sperimentare,  avviare, incentivare l’intrapresa di soluzioni non ancora scritte in nessun manuale, se non ci fosse più nessuno a mantenere in funzione antenne capaci di intercettare istanze di questo tipo?

I ragazzi nati dal ’90 in poi non hanno mai saputo cosa rappresentasse Cariplo per il territorio lombardo. E forse, anche le generazioni più ‘mature’ non provano granché nostalgia per l’approccio fortemente paternalistico che si portavano addosso certe figure di benefattori. Ma quello che sta avvenendo è un’altra cosa. Non capire che la possibilità di accedere a “doni liberi da vincoli” rappresenta – unitamente alla propagazione dei suoi effetti – un’occasione di riscatto sociale e culturale per l’intera collettività, rischia di trasformarsi in una scelta di inaudito autolesionismo.

 


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