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La città che sogno (con le #Periferie)

di Luigi Maruzzi

È così difficile capire una città. Quasi impossibile, se cerchi di farlo quando tutto è ormai accaduto. Chissà quante altre persone hanno fatto la mia stessa esperienza (!). Quando approdai a Pavia per frequentare i miei studi universitari era il 1983. Esattamente un anno dopo il “de profundis” intonato sulla fine della sua storia industriale, come autorevolmente ricorda Susanna Zatti nella prefazione al catalogo della mostra fotografica URBEX PAVIA (nota 1), ospitata in versione “abstract” sotto la cupola Arnaboldi nei giorni 16-17-18 settembre. Per la prima volta nel 1982, grazie ad una mostra allestita presso l’Archivio di Stato, si cominciò a parlare di archeologia industriale con il contestuale riconoscimento dello status di monumento a “siti, fabbricati e infrastrutture sino a quel momento affatto trascurati”. Contrazione di Urban Exploration, URBEX PAVIA è l’esito di un viaggio fotografico realizzato da Marcella Milani (nipote del noto scrittore) nelle 16 aree dismesse del territorio pavese. L’argomento trattato ha subito catturato il mio interesse perché ho avuto occasione di conoscere nel loro periodo di attività più di una delle strutture fotografate: ho visitato un’amica ricoverata all’Istituto Neurologico Mondino, ho frequentato un corso di nuoto presso la Piscina Comunale all’aperto, mi sono sottoposto a prestazioni sanitarie nella Clinica Morelli, sono andato a prendere un amico in servizio militare presso la Caserma Maggiore Rossani .

Alcuni visitatori della mostra si sono chiesti se ciò che la Milani ha voluto “esplorare” sia una forma di bellezza o gli esiti dello squallore più estremo. Secondo il mio punto di vista la domanda equivale ad una speculazione fine a se stessa. Piuttosto, soffermiamoci sulle fotografie. Proviamo ad ascoltarle. Facciamoci pervadere dalle sensazioni che loro stesse sprigionano alla distanza di un metro. Come si fa – ad esempio – a non considerare ‘elegiaco’ lo scorcio di Borgo Ticino che si intravvede dai finestroni sventrati dell’ex Idroscalo (pag. 202 del catalogo)? E perché non farsi rapire dall’immaginazione alla vista della facciata ‘barocca’ di un fabbricato dell’area ex Repetto & Fontanella (pag. 67 del catalogo)? Ma gli effetti ipnotici di questa visione durano poco e lasciano spazio a sensazioni di tutt’altro tipo quando si passa ad altri ambienti immortalati dalla forza impietosa dello scatto fotografico . La mente può arrivare perfino ad immaginare che quelle strutture di legno siano appartenute ad un lager, o che quella particolare doccia sia stata estrapolata da un ambiente simile ad una camera a gas. L’arte è anche questo. Una trasfigurazione che giunge alla totale dematerializzazione degli oggetti per consentire il loro trasloco dallo spazio fisico alla mente e – in questo caso – alla nostra anima. Sì, perché queste fotografie di Marcella Milani non vogliono fermarsi alla sollecitazione della coscienza civile attraverso un messaggio di denuncia, ma mirano dritto all’anima di chi sarà così temerario da realizzare una ri-cognizione del dolore che le immagini fanno rivivere (nota 2). In questo senso la fotografia che riprende l’area ex SNIA VISCOSA (che troviamo ‘adagiata’ sulle pagine 154-155 del catalogo)  ci restituisce “l’alba del giorno dopo”, l’esatto momento del risveglio da un fantastico sogno collettivo ormai prostrato a terra, la “divinità-Industria” che con orgoglio ostenta il suo scheletro eretto.

Abbandonata l’aura di suggestione, il bianco e nero di tutte queste fotografie mette a nudo il segreto della location-teatro: le migliaia di operai e operaie che hanno legato la propria storia alle sorti della fabbrica. Alla fabbrica hanno affidato il vigore fisico, la forza degli anni giovanili, l’incoscienza di sottoporsi a gravi rischi di integrità fisica e di  salute. Quelle generazioni potrebbero non cedere alla tentazione di ridurre il patrimonio di memoria sociale accumulato in quasi 100 anni di tradizione operaia, ad un’asettica rievocazione delle fasi storiche che hanno portato all’edificazione dei simboli di un così importante sviluppo urbano e produttivo. Non vi è dubbio sul fatto che il prezzo da loro pagato sia stato molto alto. Questo spiega anche come mai all’epoca dei fatti una delle discipline più progredite nel tempio della scienza pavese fosse la medicina del lavoro (dalle tecniche di diagnostica alla riabilitazione); per non parlare dell’importante funzione svolta dagli stabilimenti termali strategicamente situati nelle vicinanze del capoluogo. Tutti sappiamo però che se il dolore patito è apparso tollerabile agli occhi del singolo individuo coinvolto, lo si deve alla contropartita economica che gli permetteva di allontanare lo spettro della disoccupazione e dell’indigenza.

Avrei preferito limitarmi a passare in rassegna gli effetti collaterali dello sviluppo economico per restituire un contenuto di verità al dramma vissuto da così tante persone dopo la grande dismissione. E invece occorre parlare anche di una seconda menomazione, di quella cioè che ha colpito tutta la popolazione della città sul Ticino. Si chiama “interruzione del futuro”. È qui forse che si annida la questione più importante. Tutte le volte che ci si avvicina ai compiti, ai ruoli e alle responsabilità degli amministratori locali, è fatale che il discorso rischi di arenarsi. E alimentare altre polemiche non è affatto l’obiettivo del mio commento. Credo perciò che l’accento vada posto sulle alternative oggi disponibili per assumere le migliori decisioni sul destino delle aree dismesse.

Mi piacerebbe, ad esempio, approfondire come sta andando il progetto di Rieti relativo – anch’esso – ad un’area Snia Viscosa e denominato NEXT RIETI (Link = http://www.nextrieti.it/it/). In ambito pavese, mi sembra doveroso citare un gruppo di cittadini che – sotto l’emblema di “Arsenale Creativo” – ha seriamente lavorato sull’ipotesi di riutilizzo dell’area ex Arsenale nel più ampio contesto del dibattito sviluppatosi attorno al tema dei beni comuni (Link = http://arsenalecreativopavia.altervista.org/). Infine, vorrei dare una piccola anticipazione sul programma che sta per varare Fondazione Cariplo in favore delle PERIFERIE. Potrebbe essere utile mantenere le antenne tese. C’è aspettativa per un laboratorio fecondo di idee e supportato da significativi aiuti economici.

————————— (Nota 1) La prima esposizione è avvenuta tra giugno e luglio 2016 presso il Broletto di Pavia (Spazio Arti Contemporanee —> vedi la prima immagine di questo post) . Il progetto ha beneficiato di un contributo economico concesso dalla Fondazione Comunitaria di Pavia. Link = http://www.fondazionepv.it/.

(Nota 2) Per chi volesse approfondire questa dimensione, suggerisco di visionare il filmato “Realtà disperse – Viaggio nell’area industriale dismessa ex Snia Viscosa” (—> vedi immagine in fondo al post), realizzato dal Gruppo di ricerca sull’ex snia viscosa, risalente al 2006; siccome dura 50 minuti, ne segnalo la suddivisione in 3 parti: la storia, lo stato attuale (aggiorn. al 2006), il futuro. Link = http://www.ngvision.org/mediabase/593.


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