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Suona il verso dal filo spinato

di Luigi Maruzzi

Avevo solo voglia di rileggere le sue poesie. Ma non ho fatto i conti con il suo potere di attrazione totale. Perché Alda Merini non si fa trattare come un blister di pastiglie da assumere al bisogno. Quello che era in vita, continua ad esserlo anche ora, dopo anni di distanza da quando ci ha lasciato. E così, la mia insoddisfazione è cresciuta, malgrado disponessi di migliaia di versi suoi. Più leggevo e più avrei voluto che fosse lei in persona a spiegarmi la profonda bellezza delle parole che sapeva attingere dal pozzo della nostra lingua. Ho cercato un aiuto, una guida che potesse sostituirla. Ma la sua mancanza continuava a farsi sentire, insieme alla paura che non potesse essere mai colmata. Per qualche mese ho creduto che si trattasse di una questione da risolvere nel campo degli studi letterari. Poi ho scoperto che m'ingannavo perché le domande si moltiplicavano, e quelle domande mi portavano in un'altra direzione.

A me manca Alda Merini ancora oggi. Il fatto di averla incontrata di persona una fredda sera invernale a Pavia insieme a mia moglie, in occasione di una conferenza presso una piccola libreria, non mi procura alcun motivo per guardare con sospetto a questa sensazione irrazionale di amputazione dell'anima. Quello che provo non è propriamente una sensazione. Assomiglia di più a un rimpianto. Oppure ad un rimorso. A volte mi capita di rimproverarmi di non aver visitato la poetessa quand'era rinchiusa nel manicomio di Taranto. Ricordo quella volta che insieme ai miei compagni di scuola mi trovavo proprio nella città pugliese per una specie di ricognizione dell'Istituto dove avrei dovuto proseguire i miei studi liceali. Quella che un normale individuo giudicherebbe un'occasione perduta, nel mio animo diventa un'evidente prova di colpevolezza.

Le cose non cambiano se faccio scorrere il calendario in avanti. Sono a Roma già da qualche mese. La curiosità mi conduce al teatro Parioli dove stanno registrando una puntata di un notissimo show; tra gli ospiti, Alda Merini. Avrei potuto farle recapitare un bouquet di fresia, bussare al suo camerino, alzarmi da una delle poltrone in sala e proporre domande impossibili. Invece, non è accaduto nulla del genere. Quando poi nel 1993 la Merini vincerà il premio Librex Montale, avevo ormai scelto di tornare a Milano e di calmare il mio tormentato rapporto con la poesia sciupando il tempo nelle librerie storiche del centro e nei depositi di via San Giovanni sul Muro. E quel giorno che gli stilisti della Rizzoli decisero di rendere "La presenza di Orfeo" l'unico protagonista di una vetrina immensa della Galleria …. come ho fatto a resistere, a passeggiare tranquillamente nel salotto, durante le ore più deserte, senza cercare di raggiungerla?

Qualche tempo fa un amico mi suggerì di leggere i miei testi sul sottofondo di un pezzo musicale. Ogni poesia lo meriterebbe, e sarebbe meraviglioso accostare l'ultima opera composta dal maestro C.Crivelli (un omaggio al violino di Kounellis) ad un'intera raccolta di poesie meriniane. Io però non avrei dubbi nel farla eseguire all'orchestra Esagramma di Pierangelo Sequeri. Sono sicuro che Alda Merini lo approverebbe. Mi direbbe che per oltrepassare la porta dell'Eden bisogna presentarsi in coppia e assicurarsi che uno dei due appartenga alla grande famiglia degli umiliati: anime oranti prostrate dalla fatica dell'esistenza.

Ma navigando in acque agitate, senza la speranza di trovare un approdo più sicuro, continuo a pensare che le poesie della Merini siano già sostanza musicale, sufficienti a se stesse, perché scritte sul filo spinato che fa risuonare l'impudicizia come purezza, il tradimento delle apparenze come verità, e l'esaltazione del lato più umano di Dio come profezia.

​PS Questo articolo viene pubblicato quasi in contemporanea presso Affaritaliani.it che ringrazio per l'ospitalità. Generosa e meritoria, direi, vista la difficoltà con cui vengono concessi spazi alla poesia e ai suoi protagonisti.


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