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Il contributo ritrovato

di Luigi Maruzzi

Tra i miei compiti di “Erogatore” è compreso l’esame dei bilanci degli enti finanziati. Il numero dei documenti che sono passati dalle mie mani ha ormai superato la soglia delle 5.000 unità. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, ognuno di questi bilanci continua a riservare (almeno per me) qualche interessante sorpresa, come nell’episodio che ho dovuto gestire pochi giorni fa.

Mi è successo, infatti, di trovare all’interno della relazione che accompagnava il bilancio consuntivo 2020 di un’associazione (di cui non direi la denominazione, neppure sotto tortura) questo breve paragrafo: “Si segnala che nel corso dell’anno la nostra associazione ha partecipato al bando XXXX (omissis) e si è vista assegnare un contributo a fondo perso di XXXX euro (omissis)”.

Sono stato colpito dall’espressione inusuale che finiva per far emergere un messaggio assolutamente non voluto dall’estensore del documento, ma non per questo meno forte: il contrasto tra donazione (“contributo”) e inutilità della stessa (“perso”). Non volevo crederci. Ho pensato che potesse essere frutto del correttore automatico. “Ma no” mi sono detto, “ci sono sfumature che vanno rispettate, eccome!”. Mi è sembrato fosse troppo (!) anche per un Erogatore disponibile ad accettare le consuetudini del linguaggio contabile imposto dagli esperti; del resto, non ho mai nascosto la mia avversione nei confronti di una dicitura che suole indicare i finanziamenti filantropici come “contributi a fondo perduto” (*).

Per onestà intellettuale, devo rivelare che anche in casa dell’Erogatore ha fatto il suo ingresso ufficiale un termine cui potremmo riconoscere la medesima, come dire?, sensibilità ‘letteraria’ che appare incapsulata nell’uso di “perso” in luogo di “perduto”. Si tratta dell’espressione “traguardo rendicontativo”, volta a designare il parametro che l’ente finanziato deve raggiungere in termini di spese complessivamente sostenute per il progetto, al fine di poter incassare tutto il contributo. La semantica che i nostri Uffici associano al traguardo rendicontativo risulta eminentemente tecnica. Ma chi, tra coloro che dovessero imbattersi in tale terminologia, potrebbe sottrarsi alla tentazione di viaggiare (anche solo per un fugacissimo istante) con la sua fantasia? Il senso di mirare a qualcosa di grandioso (e perciò lontano) è tutto lì, in quella parolina pronunciata per prima. Con altrettanta evidenza ci appare la scia dell’espressione, una specie di aura misteriosa che circonda il concetto di “rendicontazione”.

Ma tornando all’argomento centrale del mio post, ed all’importanza della tematica proposta, sarà il caso di chiarire che una donazione come quella che va sotto il nome di “contributo”, non ha proprio nulla di “perduto” o – se vogliamo – di “perso”. Basterebbe esaminare meglio come viene a crearsi la disponibilità finanziaria da cui originano i c.d. “contributi a fondo perduto”, per rendersene conto. Il meccanismo è complesso ma resta alla portata di tutti. Chi volesse approfondirlo, scoprirebbe che il soggetto filantropico si adopera primariamente affinché le risorse possano raggiungere un valore di riferimento (benchmark) che – una volta esplicitato – incide su tutta la sua programmazione.

Insomma, non esistono “fondi” intesi come disponibilità “avanzate” da altre attività considerate più nobili. Né tantomeno i contenitori finanziari deputati ad aggregare le risorse possono qualificarsi come “perduti”. La natura delle risorse filantropiche che annualmente vengono messe a disposizione di specifici programmi di intervento, non trova riscontro solo nell’intenzionalità delle scelte di programmazione, ma riceve una conferma fattuale attraverso una molteplicità di servizi svolti, nuove strutture avviate, iniziative offerte alla comunità e realizzazioni fisiche. Va poi detto che parallelamente agli enti nonprofit che ricevono questi contributi, anche gli enti filantropici (come, ad esempio, le fondazioni di origine bancaria) sono impegnati nel difficile compito di ‘rendicontare’ le attività implementate nel corso di ciascun anno, servendosi del bilancio.

Concludo il post con una nota per addetti e per non addetti, sperando possa favorire la comprensione di talune tecnicalità e contribuire alla diffusione di determinate (buone) pratiche contabili.

(*) Asetticamente parlando, i “contributi a fondo perduto” consistono in ‘finanziamenti’ (impropriamente detti) non accompagnati dall’obbligo di restituire la somma ricevuta e non gravati dell’onere di remunerare il servizio con la corresponsione di commissioni varie ed interessi passivi.

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NOTA SULL’EVIDENZIAZIONE DEI CONTRIBUTI IN BILANCIO

Attraverso documenti curati dai propri organismi di rappresentanza a livello nazionale, i dottori commercialisti e gli esperti contabili hanno già ampiamente trattato il tema della corretta contabilizzazione dei contributi. In questa sede non possiamo che offrire una nota sintetica sui principi che devono guidare l’ente nonprofit interessato allorquando dovrà esporre in bilancio consuntivo le entità numeriche in questione.

Bisogna ricordare, innanzitutto, che dovendo applicare anche agli enti nonprofit il principio previsto dalle norme civilistiche (rappresentazione corretta e veritiera), la redazione del bilancio comporta caso per caso una serie di adattamenti delle linee-guida generali. Il primo fattore di differenziazione insorge laddove l’ente – pur conservando la propria natura di soggetto “not for profit” – operi in forma di impresa (con veste giuridica normalmente assunta dalle società di capitali).

Come se non bastasse questa linea di demarcazione, si avverte che sussistono molte altre distinzioni da operare in rapporto alla tipologia di contributo (c. in conto capitale, c. in conto gestione, c. in conto interessi, e via dicendo), che per ragioni di spazio e per evitare di appesantire la presente nota, preferiamo non illustrare rinviando alla lettura di pubblicazioni più organiche (v. “Codice unico delle aziende non profit”, a cura della Fondazione Aristeia, Milano 2007).

Come pure, va detto che i contributi qui presi in considerazione sono quelli c.d. “condizionati” (da non confondere con i contributi “vincolati”), donazioni effettuate nella prospettiva che venga realizzato un progetto sociale (ambientale, culturale, scientifico). Tali somme – che vengono riconosciute in favore dell’ente nonprofit al di fuori di un vero e proprio rapporto di scambio di beni/servizi – possono essere incassate dal Beneficiario solo se quest’ultimo dimostra di aver rispettato determinate “condizioni”, che normalmente discendono dalle specificità del progetto e da esigenze più prettamente amministrative.

Fatte queste precisazioni, si può affermare che all’interno del documento di bilancio (quello redatto con il criterio della competenza economica) devono potersi rintracciare tutte le informazioni necessarie per dare evidenza alle tre dimensioni del contributo:

a) l’importo integrale del finanziamento ottenuto (quello complessivo, deliberato dall’ente filantropico in favore dell’ente nonprofit). Va indicato fra gli “Altri ricavi e proventi” nella sezione Ricavi del Conto economico (“Rendiconto gestionale”, in ottica di Riforma degli ETS).

b) l’importo incassato nell’anno consuntivato con il bilancio che – come noto – può essere anche parziale. Va indicato nella “Nota integrativa” (“Relazione di missione”, in ottica di Riforma degli ETS). Su questo punto, si precisa che si tratta di un importo che potrebbe non coincidere con quello registrato fra i ricavi/proventi dell’esercizio se l’ente dovesse ravvisare una correlazione diretta tra costi e ricavi del progetto beneficiario del finanziamento filantropico. Ma anche in questo caso, si possono prospettare altre soluzioni alternative, come quella di registrare l’intero ammontare della somma incassata, salvo poi effettuare una scrittura di rettifica che confluirebbe nei Ratei e risconti.

c) l’importo residuo da incassare. Va normalmente indicato fra i “Crediti vs altri soggetti”, nell’Attivo dello Stato patrimoniale.

In alcune circostanze, l’ente nonprofit potrà indicare in Bilancio l’ammontare del contributo richiesto, prima che venga formalmente deliberato dall’ente filantropico. Ciò viene a verificarsi a motivo della ricorrenza sistematica del contributo perché – ad esempio – si tratta di un’erogazione riconosciuta come sostegno istituzionale priva di un legame diretto con l’implementazione di un progetto specifico. In questi casi, è compatibile con i principi di trasparenza e di completezza del bilancio la decisione di farne menzione fra i c.d. “Conti d’ordine”.

Pur rimarcando che si tratta di casi particolarissimi e non numerosi, vale la pena di segnalare che l’evidenziazione del contributo fra i “Conti d’ordine” può offrire un’informazione rilevante sotto il profilo della valutazione della c.d. “continuità aziendale”; se l’entità del contributo in questione fosse significativa sarebbe facilmente immaginabile l’impatto di una mancata indicazione dello stesso, specialmente in ipotesi di disavanzo. Si potrà opporre che per tale eventualità sarebbe suggeribile fare ricorso al bilancio preventivo; ma con la stessa forza si potrebbe controbattere che tale documento non risulta tale da offrire le medesime caratteristiche di strutturazione e pubblicità insite nel bilancio consuntivo.

Volendo poi calarci nel contesto operativo dei progetti finanziati da Fondazione Cariplo, sono ipotizzabili alcune situazioni in cui non basta seguire la regola generale, baricentrata sull’utilizzo della sezione Ricavi in Conto economico e della sezione Attivo in Stato patrimoniale, ma bisogna ricorrere ad alcune rettifiche. In particolare, tale soluzione si rende necessaria al verificarsi (congiunta o separata) delle seguenti circostanze:

1. riscontro dello stato di avanzamento del progetto finanziato, in occasione del controllo effettuato dai Revisori della Fondazione mediante la circolarizzazione dei debiti (lato FC);

2. previsione di un audit finanziario;

3. presa d’atto degli esiti di un audit finanziario;

4. modifica radicale del progetto finanziato nell’ambito di bandi a valutazione comparativa;

5. modifica di condizioni che impattano sui requisiti di ammissibilità previsti dal bando originario, sia generali (esempio: la veste giuridica) sia particolari (esempio: valore positivo del Patrimonio netto).

In dipendenza del momento in cui si apprende notizia di dette circostanze, le rettifiche potranno alternativamente consistere in:

– un accantonamento a fondo rischi (sezione Oneri/costi del Conto economico) e contestuale registrazione di un debito vs l’ente donatore con riferimento al progetto finanziato (sezione Passivo dello Stato patrimoniale). Nell’esercizio oggetto di bilancio l’ente viene a conoscenza del fatto che saranno effettuate le verifiche, ma non è ancora divenuto destinatario di alcun provvedimento;

– una svalutazione del credito vs l’ente donatore con riferimento al progetto finanziato. Le attività di verifica hanno portato ad un esito negativo che però non è stato ancora quantificato nell’esercizio oggetto di bilancio.

– una sopravvenienza passiva. L’ente ha acquisito nell’esercizio oggetto di bilancio la certezza della ‘penalty’ subita.

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