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Attivismo civico & Terzo settore

Sindrome da tendina

di Claudio Di Blasi

E’ da un paio di settimane che faccio “resistenza passiva” al suggerimento, venuto da un amico della Redazione di Vita, di scrivere qualcosa sul “ritorno occupazionale” derivante dal servizio civile.

 Tutta colpa della ASL di Bergamo… e che c’entra la ASL?

Qualche anno fa negli uffici di Mosaico arrivarono in pochi giorni ben due ispezioni della ASL, per verificare il rispetto della normativa in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Furono molti efficienti: misurarono l’altezza dei locali, se vi era il numero corretto di estintori, la presenza della cassetta di pronto soccorso, la tenuta dei corsi sulla sicurezza del lavoro per i dipendenti, le eventuali “radiazioni” provenienti non solo dagli schermi video ma addirittura dai cavi della rete dati interna.

 Tutto in regola. Stavamo per tirare un sospiro di sollievo quando l’ispettrice si rannuvolò in volto, guardando una finestra.

Stringendo con disappunto le labbra, ci disse: “Ma qui… mancano le tendine! Ciò può creare disagio al lavoratore, quando batte il sole!”

 Dai nostri uffici si aveva una bella visione di una casa in costruzione, quattro piani di altezza.

Mentre la funzionaria ci impartiva la sua reprimenda per l’assenza di tendine, dalla finestra si potevano ammirare l’agilità e lo sprezzo del pericolo di una decina di muratori, appollaiati sui ponteggi, senza casco e senza cinghie di sicurezza.

Questo è un paese strano: quando operi secondo le regole puoi essere sicuro che qualche eccentrico funzionario troverà la “tendina” per cui rimproverarti, ignorando altre situazioni abnormi che accadono sotto il suo naso, in quanto “non di sua competenza”.

Dirò di più: attenzione a raggiungere dei risultati positivi. Si corre il fondato rischio di sentirsi dire “ma guarda come sei bravo! Sei talmente bravo che non ti sosteniamo, anzi ti togliamo quel poco che riuscivi ad avere… ci sono altre realtà, inefficienti ed incapaci, che proprio per questo meritano di ricevere risorse”.

 La regola aurea di sopravvivenza è una sola: quando fai bene qualcosa, non dirlo a nessuno! E se rispetti una regola, non menarne vanto!

 Ma ritorniamo, sarebbe ora, al ritorno occupazionale del servizio civile.

Un paio di giorni fa un Ministro della Repubblica, per l’esattezza il Ministro del Lavoro Enrico Giovannini, se ne è uscito con un paio di frasi in cui legava il tema del servizio civile a quello della formazione finalizzata all’inserimento nel mondo del lavoro.

Il Ministro non aveva fatto in tempo a riprendere fiato che si è scatenata una selva di dichiarazioni a favore della sua vision, sebbene un poco confusa e senza uno straccio di analisi degli investimenti necessari.

E’ vero, lo è sempre stato! Il servizio civile è formazione ed inserimento lavorativo! E chi mai ha detto altro?

Qualche bastian contrario avrebbe potuto ricordare le ovazioni ed i peana a sostegno di una concezione del servizio civile basata sulla “difesa della Patria” (ed alle conseguenti smorfie di sufficienza rivolte a chi sottolineava la preminenza formativa).

Ma lasciamo perdere… parafrasando Pier Luigi “non siamo mica qui a fare gli ispettori della ASL!”.

Orbene, dal 2001 al 2011 il servizio civile volontario l’hanno fatto 277.820 giovani… non proprio bruscolini.

E’ che sul servizio civile sono un poco maniacale… credo di essermi letto tutto, o quasi tutto, in materia.

Non ho memoria di uno studio, condotto a livello nazionale, sul “ritorno occupazionale” del servizio civile.

Niente di complicato, ci tengo a precisarlo.

Aspetti che i volontari abbiano terminato da un tre/quattro mesi il loro anno di servizio, gli telefoni e gli domandi “l’ente che ha usufruito di 1400 ore della tua vita, spendendo poco o nulla…. ebbene questo ente ti ha fatto un’offerta di lavoro? E di che tipo?”

Se proprio volete esagerare potete aggiungere un’altra domanda, del tipo “Ora stai lavorando? Se sì, ritieni che il servizio civile ti sia servito per essere assunto?”…. dopodiché fate la stessa domanda al datore di lavoro, ovviamente.

Troppi ragazzi da intervistare? Nema problema, come direbbero i nostri vicini serbi o croati: esistono fior di strumenti statistici per estrarre un campione scientificamente valido e significativo.

Ora, perché non lo si è fatto? E perché si sono invece condotti studi sul ritorno economico del servizio civile, dimostrando che per ogni euro di investimento pubblico ve ne sono ben tre di ritorno in termini di servizi aggiuntivi alla comunità?

Nel mondo della ricerca, anche quella sociale, è raro assistere a fenomeni di “ricerca pura”, ovverosia effettuata per un desiderio di conoscere fine a sé stesso.

E’ lo stesso apparato militar industriale che non perde occasione per rinfacciarlo a pacifisti e nonviolenti: senza l’esigenza di individuare gli aerei nemici, mai si sarebbe “scoperto” il radar… insomma le risorse, anche pubbliche, sia in tempo che in denaro , vanno dove c’è la possibilità di un ritorno.

Il mondo del servizio civile si sostiene grazie al finanziamento dello stato: senza alcun dubbio dimostrare che vi è un alto ritorno in termini di servizi aiuta a mantenere il finanziamento statale… o almeno così ci si augurava (la realtà è stata purtroppo una arcigna maestra).

Del resto, a chi interessa che fine fanno i giovani che si arruolano nelle Forze Armate, terminato il periodo di ferma? L’importante è che garantiscano il “servizio”, ovverosia la difesa armata del paese.

Giusto i vertici militari hanno qualche preoccupazione, perché il fatto che migliaia di ex militari rimangano a spasso dopo la ferma volontaria è una pessima pubblicità verso i loro coetanei potenzialmente arruolabili: problema che del resto non si pone al giorno d’oggi, visti i livelli di disoccupazione giovanile che vi sono nelle regioni da cui proviene il 70% degli arruolati.

Ebbene, da vari anni in Lombardia un ente di servizio civile ha avuto la balzana idea di misurare il “ritorno occupazionale” dei volontari impiegati nei propri progetti.

L’ultima rilevazione è stata pubblicata un paio di settimane fa, e ve la potete leggere per esteso a questo link: http://www.mosaico.org/images/ritorno_occupazionale_scv_2011.pdf .

Esegeti della ricerca pura?

E’ raro trovare di queste creature tra i monti e le pianure lombarde.

Molto più pragmaticamente, si è ritenuto che uno degli stakeholder del servizio civile siano proprio i giovani che scelgono questa esperienza… e questi giovani hanno desideri: essere indipendenti, vedere realizzati i propri sogni, metter su casa e famiglia ….e questo lo si fa quando si lavora.

Questi giovani sono anche il futuro delle loro comunità: se trovano lavoro dove hanno vissuto e studiato, ebbene avremo un tessuto sociale più coeso, più solidale, meno sottoposto a tensioni e punti di rottura.

Quest’indagine ci ha aiutato anche a comprendere come le leggi dello stato funzionino piuttosto che no: ad esempio i dati di quest’anno rappresentano, nel loro piccolo, una solenne bocciatura della cosiddetta “riforma Fornero”.

A posteriori, abbiamo un’immagine del servizio civile “tre mesi dopo” che è ben diversa da quella che si cerca di veicolare “durante il servizio civile”.

Non troviamo traccia di parate del 2 giugno, né di riflessioni sulla difesa non armata… e forse su questo ci sarebbe da riflettere.

Riflettere? No, meglio di no.

Questa mancanza è il chiaro segnale dello scarso livello scientifico dello studio, la dimostrazione che non è su queste tematiche che occorre ragionare.

E chi dimostra che con il servizio civile fa aumentare le probabilità di trovare lavoro, ebbene dimostra di non avere bisogno del servizio civile…. meglio destinarlo a chi ha come risultato altissimi tassi di disoccupazione.

Abbiamo sbagliato tutto, lo confessiamo…. ma non tagliateci i fondi 🙂


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