Attivismo civico & Terzo settore

Servizio Civile Universale: la quarta visione di Matteo

di Claudio Di Blasi

In questi mesi non è facile tenere il ritmo di elaborazione del maggior partito italiano in tema di servizio civile.

Nella attuale legislatura i parlamentari o gli organismi dirigenti del Partito Democratico hanno infatti presentato in merito:

  • una proposta di legge ripresa dalla scorsa legislatura (esattamente la n. 723 a prima firma Sereni);

  • una proposta di riforma elaborata dall’Onorevole Patriarca, e comparsa in bozza sulle pagine di Vita nelle scorse settimane;

  • una proposta di legge istituente il servizio civile obbligatorio (esattamente la n. 2042 a prima firma Realacci);

  • dulcis in fundo un documento in bozza che propone il “servizio civile nazionale universale” presentato ufficialmente lo scorso 21 marzo, nel corso di una “giornata di ascolto” su politiche giovanili e riforma del servizio civile, giornata indetta dal responsabile welfare e scuola della Direzione Nazionale del PD.

Senza nulla togliere alle proposte degli onorevoli Sereni, Patriarca e Realacci, quanto presentato nel primo giorno di primavera è la prima elaborazione scritta di una serie di “visioni” in tema di servizio civile dell’attuale segretario del PD e presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi: pare quindi logico ed opportuno concentrarsi su di esso, che i lettori possono consultare al link http://www.vita.it/static/upload/ser/servizio-civile-universale.-la-proposta.pdf .

 I numeri che non tornano.

 Nel documento si evidenzia, sin dalle prime righe, un “principio cardine: tutti i ragazzi che esprimono la volontà di voler vivere questa esperienza, devono poter fare il servizio civile”.

Ci si rifà ad un dato storico, ovvero “nel solo periodo 2007-2011 a fronte di 156.000 posti messi a bando sono state 432.000 le domande presentate”.

Con questa serie storica si arriva alla conclusione che l’obiettivo è quello di “100.000 giovani in servizio civile (ogni anno n.d.a.) per rispondere alla crisi e trasformare l’Italia”.

 Si tratta di una bella equazione… peccato che non corrisponda alla realtà.

Infatti nel periodo considerato gli enti di servizio civile, regionali e nazionali, hanno presentato progetti che prevedevano l’impiego complessivo di 431.251 volontari.

Sempre nel periodo 2007-2011 sono stati “respinti” progetti per complessive 66.127 posizioni, mentre progetti per 365.124 posizioni sono stati valutati positivamente.

Insomma, “domanda ed offerta” di servizio civile da anni si incontrerebbero….. ma questo non avviene per una banale ragione: lo Stato ha deciso di finanziare solo 1/3 dei “posti di servizio civile” , ovvero 156.000 su 365.124 papabili.

E’ inoltre da tenere presente che il “mercato” ha registrato un vero e proprio crollo dell’offerta di servizio civile: gli enti nel 2007 hanno presentato progetti per oltre 110.000 posizioni, mentre nel 2011 si è passati a poco più di 52.000 posizioni.

La ragione è ovvia: elaborare progetti ha un costo, e se ritieni che le tue probabilità di avere successo sono scarse, eviti un investimento troppo rischioso.

Se poi si tiene conto che diverse Regioni “premiavano” con un punteggio aggiuntivo quegli enti che diminuivano la richiesta di servizio civile rispetto all’anno precedente (è accaduto per anni in Lombardia)… ebbene il quadro è completo.

A questo punto sorge spontanea una domanda: per quale ragione l’onorevole Bonomo, relatrice della proposta lo scorso 21 marzo, non ha tenuto conto della realtà numerica descritta nelle righe precedenti, tanto più che tali dati sono facilmente desumibili dalle relazioni al Parlamento sull’attuazione della legge sul servizio civile?

Si tratta di una “dimenticanza” o di una scelta consapevole?

Una struttura “immaginata”…. o “immaginifica”

 Il servizio civile immaginato nel documento è profondamente diverso dall’attuale.

Innanzitutto nella durata, visto che vi saranno solo “sei mesi di servizio civile classico”, cui si aggiungeranno altri due mesi utilizzati in una non meglio specificata “attività di tutoraggio del volontario da parte dell’ente ospitante per l’aumento dei livelli di occupabilità dei giovani” (sic), ovvero in due mesi di servizio in paesi dell’Unione Europea (con la logica dello scambio.. l’italiano va in Francia e il francese viene in Italia),od infine in due mesi di servizio in altra area geografica dell’Italia (il ragazzo di Milano chiede di fare due mesi di “servizio” a Cosenza).

 Uno dei miei “sogni” è di essere tra i fortunati che viaggeranno nello spazio siderale, come turista: un desiderio che si scontra con la dura realtà, non solo di carattere economico, ma anche di effettiva disponibilità del “pacchetto turistico” prima del termine della mia vita terrena.

Lo stesso si potrebbe dire per la struttura di servizio civile immaginata nel documento.

 Infatti vi sono notevoli …. pecche. Alcuni esempi:

a) se il servizio civile “classico” non è visto soprattutto come strumento per aumentare la probabilità di occupazione (“occupabilità” è pessimo italiano), che diavolo è? In attesa di una risposta dal Ministro Poletti, che detiene da poche ore la delega al servizio civile, mi limito a segnalare che un percorso di sei mesi va bene, forse, per imparare ad utilizzare un tornio, non certo per gestire una biblioteca o un intervento di servizio sociale;

b) che diavolo sono i “due mesi di tutoraggio”? Gli enti accompagneranno i giovani ai colloqui di selezione? Gli faranno fare qualche non meglio specificato corso d’aula? Si può solo presupporre che si tratti di una qualche forma di ausilio all’inserimento lavorativo, un settore che è in mano quasi esclusivamente alle Regioni, che in questa ipotesi di riforma sono trattate in modo… definiamolo “brusco”, e possiamo pertanto immaginare il loro interesse alla collaborazione con lo Stato.

Nel documento si scrive che “nel periodo di tutoraggio il volontario ha diritto a ricevere servizi mirati… tirocini o corsi di formazione qualificati”. Peccato che tali servizi possano essere forniti solo da enti di formazione o di inserimento lavorativo accreditati presso le Regioni, non certo dagli enti di servizio civile…. e chi paga?

Si scrive anche di “benefit per i volontari” ovvero: 1) crediti formativi universitari. Varranno solo per i giovani iscritti all’università, e ci si scorda che l’autonomia universitaria non si fa certo imporre qualcosa dallo stato; 2) tirocini universitari e professionali. Vale quanto detto prima, chi decide e può operare sono le Università e gli enti di formazione regionali accreditati; 3) riconoscimento delle competenze. Anche in questo caso la potestà della Regione e degli enti di formazione accreditati presso la stessa è assoluta;

c) se il giovane volontario di Milano vuole andare per i suoi ultimi due mesi in Francia o a Cosenza, e nessun ente è disposto ad ospitarlo… ebbene che succede? Lo si invia dove “c’è posto”, in Germania piuttosto che a Latina? Non se ne fa nulla? Ed, anche qui, chi paga vitto, alloggio e trasporto?

  In attesa di ricevere una risposta a queste concrete domande, diamo un’occhiata al “Deus ex machina” del nuovo servizio civile renziano, ovverosia lo Stato

Stato uber alles

Siamo di fronte ad una dimostrazione plastica del concetto di “rullo compressore”, per affrontare una volta per tutte “il problema irrisolto del rapporto Stato Regioni”.

In sostanza il “servizio civile universale” sarà gestito ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera d) della Costituzione, che recita: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: …. d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi…”

 Dopo questa dichiarazione di potestà assoluta, stile Luigi XIV, il documento si lancia in una lunga serie di compiti da affibbiare alle Regioni: certificazioni delle competenze, controlli sugli enti, attività di monitoraggio, realizzazione di corsi di formazione e di tirocini per i volontari, e chi più ne ha più ne metta.

 L’estensore del documento si è, ahinoi, scordato di un altro comma dell’articolo 117 della Costituzione, che recita “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni”: ovvero se lo Stato decide di delegare funzioni amministrative “esclusive” alle Regioni, a queste spetta il compito di disciplinarne l’esercizio, mentre lo Stato “perde” tale potere.

Delle due una:

  1. se lo Stato delega certe attività alle Regioni, può trovarsi con 21 modi diversi (19 Regioni e 2 Province Autonome) di effettuare, ad esempio, il monitoraggio sugli enti;

  1. oppure la Regione può dire di non avere alcun interesse a prendersi compiti che in esclusiva sono di competenza statale, ed allo Stato non rimane altra strada che quella di farsi da solo tutto quanto: è capitato alcuni anni fa, quando la Regione Sicilia non volle istituire l’albo regionale degli enti di servizio civile.

 Ciononostante, il concetto di “Difesa della Patria” quale cardine del servizio civile è rafforzato dall’affermazione: “sotto il profilo giuridico lo stato dei volontari è equiparato, per quanto possibile, a quello dei Volontari in ferma Prefissata di un anno delle Forze Armate”.

Visto che al servizio civile “universale” si vuole far accedere anche i privi di cittadinanza italiana, si apre un altro fronte “costituzionale”, ovverosia quello di rendere possibile, con tale approccio, l’arruolamento in corpi armati dello Stato di cittadini stranieri, comunitari e non.

Una bella gatta da pelare, che non so quanto tempo porterà via al futuro dibattito parlamentare, oltre che foriera di ricorsi alla Corte Costituzionale.

 Insomma, il rullo compressore potrebbe “spianare” in primo luogo il conducente, soprattutto se guardiamo la questione “risorse finanziarie”.

Servizio civile universale, ma quanto mi costi?

 Riprendiamo la formula “sotto il profilo giuridico lo stato dei volontari è equiparato, per quanto possibile, a quello dei Volontari in ferma Prefissata di un anno delle Forze Armate”.

Da un punto di vista economico, non posso che augurarmi che ciò significhi il mantenimento dell’assegno mensile di 434 € mensili: del resto la bistrattata Riforma Fornero ha imposto un assegno mensile di 300 € per i tirocinanti che svolgono 20 ore settimanali di tirocinio, e cifre superiori se si supera questo monte ore.

Centomila giovani che svolgono otto mesi di servizio civile a 434 € al mese: solo qui vi è un fabbisogno annuo di 347 milioni di euro.

 Poi vi sono i costi per il “tutoraggio”, le spese di vitto ed alloggio per chi mandiamo in altri paesi europei, o in altre regioni d’Italia, per i tirocini e la valutazione delle competenze.

Un esempio: in Lombardia un corso di 72 ore d’aula con valutazione e certificazione delle competenze da parte di un ente di formazione accreditato costa all’incirca 600 € per alunno, a condizione che l’aula sia composta da almeno 20 studenti.

Se si desse tale benefit, in verità minimo, a tutti i volontari del “nuovo” servizio civile, si viaggerebbe su un investimento annuo di 60 milioni di euro.

 Non dimentichiamo infine i costi relativi alla copertura assicurativa, alla gestione amministrativa di 100.000 giovani, alle imposte gravanti (ad esempio l’IRAP), al vitto ed alloggio per chi andrà per due mesi in un altro paese europeo o in una regione italiana diversa da quella di residenza..

 Insomma, possiamo ragionevolmente ipotizzare che il Servizio Civile Universale richieda un finanziamento annuo oscillante tra i 450 ed i 500 milioni di euro.

 Chi metterà queste risorse?

E’ indubbio che lo Stato, a fronte di ipotesi finanziarie di tale genere, dovrà rimpolpare in modo consistente le attuali postazioni di bilancio: è ragionevole ipotizzare un impegno finanziario di almeno 300 milioni di euro annui, con la “garanzia” di mantenere tale investimento per un triennio (anche perché il servizio civile sarà organizzato su una progettualità triennale).

 E le restanti risorse? E’ arduo che possano venire dalle Regioni: questi enti, a fronte della deresponsabilizzazione derivante da questo nuovo servizio civile, tenderanno, nella migliore delle ipotesi, a crearsi un “loro” servizio civile regionale, ovvero ad investire su forme similari.

E’ altrettanto arduo che risorse arrivino da fonti private “estranee” al piccolo mondo del servizio civile: ad esempio, una Fondazione di origine bancaria vuole partecipare concretamente alla decisione dove dislocare le sue risorse, e difficilmente è disponibile a far decidere il tutto ad un pugno di funzionari statali.

Rimangono gli enti di servizio civile, che potrebbero essere “obbligati” a finanziare, nella migliore delle ipotesi, il 30% del costo di una posizione di servizio civile ovvero a fornire determinati servizi (ad esempio facendosi carico dei costi relativi ai benefit del “bimestre formativo” del giovane volontario).

Se il costo annuo del sistema è di 450 milioni, e se lo stato ne mette 300, gli enti dovrebbero “sganciare” i restanti 150 milioni, ovverosia 1500 € per ognuno dei 100.000 ragazzi in servizio, servizio che insisterebbe sulle sedi dei suddetti enti per sei mesi.

Già ora esistono sistemi regionali che risultano essere meno onerosi e più agili rispetto all’ipotesi di servizio civile universale all’esame, soprattutto nelle regioni del nord e del centro.

 Il risultato potrebbe essere uno spiacevole….

Cortocircuito finale e conclusioni

 Il servizio universale, secondo la legge italiana, indica una situazione che comporta degli oneri a carico di un gestore pubblico o privato di un servizio di pubblica utilità al fine di garantire uno standard minimo predefinito di qualità di servizi, per i quali non sia possibile l’equilibrio economico, ma che si ritiene tuttavia necessario di garantire alla collettività, nel caso anche con meccanismi di compensazione finanziaria pubblica.

Abbiamo visto come il servizio civile sia “universale” nel momento in cui viene garantito la “standard minimo”, ovverosia 100.000 giovani che fanno questa esperienza ogni anno.

Abbiamo anche visto come tale standard possa essere garantito solo con la partecipazione economica alle spese derivanti non solo dello Stato, ma anche di attori terzi, in particolare gli enti di servizio civile.

 Potrebbe accadere, non è un’ipotesi peregrina, che gli enti non siano in grado di mettere a disposizione la loro parte.

La conseguenza di tale scenario:

  1. lo stato interviene ulteriormente con risorse proprie, per colmare il “buco”;

  2. lo stato non interviene, ed in tal modo non si raggiunge lo “standard minimo”, ovvero viene meno il concetto di universalità.

Dopo questa ultima annotazione, si può affermare che l’ipotesi di “servizio civile universale” presentata lo scorso 21 marzo non manca di fascino e di idealità.

Nel contempo ha fondamenta fragili da un punto di vista sia finanziario che gestionale, ed ha il considerevole limite di ritenere che l’annuncio della “profezia” porti alla sua realizzazione.

Inoltre la messa fuori gioco, scientemente dichiarata, delle Regioni spingerà sia ad un confronto aspro in sede di discussione parlamentare sia alla nascita di servizi regionali autonomi, concorrenti verso il sistema “statale”.

Insomma, siamo davanti a scenari futuri non molto rassicuranti.


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