Attivismo civico & Terzo settore

Una storia di servizio civile

di Claudio Di Blasi

Qualche giorno fa una volontaria in servizio civile nazionale ha dato le dimissioni.

Facendo di mestiere il Responsabile di Servizio Civile Nazionale il fatto non dovrebbe sorprendermi: nei primi due mesi di servizio si ha un tasso di abbandono fisiologico del 5-6%, nel 90% dei casi dovuti all’aver trovato un impiego. Eppure queste dimissioni mi hanno colpito in modo particolare, perché per la prima volta mi sono trovato davanti a motivazioni di carattere religioso.

Queste righe non vogliono, e mai potranno, essere una risposta alle domande che mi sono posto: mi limiterò quindi a raccontare la storia….ed a proporvi degli interrogativi.

Diamo innanzitutto un nome a questa giovane: la chiamerò Asiya, che da quel poco che so di arabo dovrebbe significare “colei che si tende verso i deboli e li solleva”. Asiya ha 23-24 anni, è una cittadina italiana a tutti gli effetti, la sua famiglia è originaria di un paese nordafricano. Si è diplomata con ottimi voti in una scuola superiore di servizi sociali, è iscritta all’università. Ha alle spalle una serie di stage nel settore dei servizi sociali, dalla scuola materna all’assistenza disabili… ha pure fatto un tirocinio in campo amministrativo.

Asiya è una candidata ideale al servizio civile nazionale: ci aveva provato nello scorso bando, prendendo un ottimo punteggio, ma qualcuno era stato più bravo di lei. E’ una ragazza determinata, ripresenta domanda nel 2015, ed ottiene anche in questo caso un punteggio lusinghiero: oltre 90 su un massimo di 100. Ha scelto come progetto quello sull’assistenza ai disabili presso un comune. Leggendo i materiali della sua selezione, emerge chiaramente che è consapevole di cosa significa operare in un campo del genere: “mi trovo a mio agio con persone diversamente abili”, “le competenze che potrò acquisire sono infinite perché ogni giorno si impara una cosa nuova”, “il mio punto di debolezza è che mi affeziono molto alle persone diversamente abili con cui collaboro”, successivamente mi dirà di aver letto con attenzione il testo del progetto su cui si è candidata.

Bene, Asiya inizia regolarmente il suo anno di servizio civile, ma dopo tre o quattro settimane mi telefona la sua OLP (Operatore Locale di Progetto), segnalando che la volontaria ha dichiarato di “non poter svolgere alcune attività previste dal progetto di servizio civile”. Nel mondo del servizio civile capita anche questo: giovani che si ritengono portati per determinati campi, ma che alla prova dei fatti si accorgono che la realtà non corrisponde alle aspettative…. eppure esaminando la sua cartella personale è evidente che i documenti non raccontano questa storia: di esperienze nel settore ne ha già fatte.

L’OLP, che di lavoro fa l’assistente sociale, accenna al fatto che il rifiuto deriva da questioni di carattere etico…. ma quali sono le attività che la volontaria non vuole o non ritiene di poter svolgere? Per ora non ve lo dico, ma quello che sento mi spinge a telefonare alla giovane ed a convocarla ad un colloquio.

Eccoci seduti intorno ad un tavolo: il sottoscritto, Asiya ed Andrea, uno dei due selettori che l’hanno valutata. Racconto alla volontaria che cosa mi ha detto l’OLP e ne ho conferma. In sostanza ha rifiutato di svolgere due attività. La prima consisteva nell’assistere alcuni disabili adulti, età circa 30 anni, durante un corso di nuoto in una piscina pubblica. In tale occasione, insieme ad altre operatrici dell’ente, doveva sia aiutare i disabili negli spogliatoi, sia stare a bordo piscina. Asiya aggiunge che di fronte al suo rifiuto l’OLP aveva deciso di non farle svolgere questa attività. Dopodiché vi è un secondo diniego: in questo caso il no è al classico affiancamento ad anziani: leggere il giornale, far loro compagnia, chiacchierare, il tutto presso il loro domicilio.

E veniamo alla ragione di questi no: Asiya ritiene che le attività sopra descritte siano in contrasto con i precetti della sua fede religiosa, che è poi quella islamica. Cerco di capire meglio e quindi domando dove di preciso stia il problema. La risposta che mi viene data mi coglie alla sprovvista. Non sono le attività in sé ad essere in contrasto con il credo religioso, bensì il fatto che siano effettuate a favore di utenti di sesso maschile: Asiya ritene che la sua fede le vieti di aiutare un disabile adulto a cambiarsi d’abito in uno spogliatoio (chiedo: anche se sono presenti altri operatori? E ricevo risposta affermativa), e che sempre la sua fede le vieti di entrare in casa di un anziano, a meno che non sia affiancata da altri operatori (chiedo: ma non puoi entrare in casa dell’anziano anche se sono presenti dei famigliari dell’utente? No, non può, perché fanno parte della famiglia dell’utente). Obietto che queste attività da svolgersi presso il domicilio degli anziani erano ben indicate nel progetto: Asiya mi risponde che pensava che si sarebbe trattato di consegnare dei pasti, stando alla porta e non entrando in casa. Infine, nel corso del colloquio si lascia sfuggire un accenno di carattere personale: si è sposata da poco e “i nostri uomini non vedono certe situazioni allo stesso vostro modo”.

Come è finita? Da parte mia ho dovuto segnalare alla volontaria che il rifiuto di svolgere le attività previste dal progetto mi obbligava ad aprire un procedimento disciplinare. Le ho anche evidenziato che sulle attività in piscina l’ente le era venuta incontro, ma che non poteva farlo anche sugli interventi domiciliari rivolti agli utenti. Asiya non ha negato né il problema né la disponibilità dell’ente, ma non ha cambiato idea: ha dato le dimissioni. Mi è parso un dovere segnalarle che tra un paio di mesi ci sarà un bando di leva civica regionale, magari in un settore che le eviti per il futuro quanto ho raccontato….. spero che partecipi e che risulti “idonea e selezionata”.

E veniamo agli interrogativi che mi sto facendo da alcuni giorni a questa parte. Perché io non credo che la storia sia finita, bensì che questo sia solo un primo piccolo segnale.

Da obiettore di coscienza non posso che rispettare chi rifiuta per motivi di carattere religioso di svolgere determinate attività, e non c’è bisogno di tirare in ballo Sofocle e la sua “Antigone”.

Da cittadino lombardo e europeo fatico ad immaginare servizi sociali organizzati in base al sesso dell’utenza: in alcuni casi può essere necessario, ma la necessità non può che derivare dai bisogni dell’utenza stessa e dall’obiettivo di migliorare il servizio.

Da laico (laico, non antireligioso) mi domando come sia possibile che una religione, che chiede ai suoi appartenenti di essere innanzitutto di aiuto al prossimo, possa poi porre dei limiti concreti nel fornire tale aiuto.

Da chi lavora nel campo del servizio civile mi domando se nel prossimo futuro non dovremo scrivere progetti “specializzati”, declinando le attività previste in base alla fede e alle convinzioni di questo o quel gruppo di cittadini: questo sarebbe un esempio di “cittadinanza attiva”? E, sopra tutto, sarebbe giusto?

Come vedete, solo domande e interrogativi: di risposte francamente non ne ho. Ma le domande devono essere poste, così come occorre leggere la pagina di un libro, prima di passare alla successiva. Qualche rimorso nei confronti dei lettori comunque ce l’ho…. vi ho messo giù un bel carico da 11 (e chi ama la briscola sa di che sto parlando). Provo a sollevarvi l’animo con questo pezzo, che come molti di voi ho ballato negli anni ottanta. I Clash una risposta chiara se l’erano data, ma erano altri tempi.


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