Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Solidarietà & Volontariato

Non nominiamo i maya invano

di Giulio Sensi

Venni a sapere della profezia maya della fine del mondo mi pare 3 anni fa, ascoltando Roberto Giacobbo che di fronte a Fabio Fazio spiegava le ragioni del suo libro “2012, la fine del mondo?”. Mi venne subito in mente un pensiero che pareva ispirato ad un crozziano “Kazzenger” ante litteram: ma i maya sono ancora vivi? E lo sanno di averci messo in questo casino? Fortunatamente li avevo già incontrati i maya. O meglio avevo avuto la grande occasione di vivere un pochino di tempo nei villaggi indigeni del Chiapas, in Messico, dove un popolo appartenente a diverse etnie di discendenza maya (Tzeltal, Tzotzil, Tojolabal etc.) vive nella miseria e nell’oblio. Diciannove anni fa aveva alzato la testa con l’insurrezione zapatista e la richiesta di una pace con dignità.

La fine del mondo, in verità, molti di loro l’hanno vissuta alla fine degli anni ’90 e intorno non c’è stata nessuna ironia. Agguati, stragi e mattanze hanno offuscato la storia del sud-est messicano della fine degli anni ’90, con l’apice proprio il 22 dicembre di 15 anni fa con la strage di Acteal. Di giustizia ne è stata fatta pochissima e le ragioni del conflitto non sono state risolte, anche se gli indigeni continuano -con l’ostinazione di chi la stessa storia la vive ormai da più di 500 anni- a chiedere dignità e costruire l’autonomia e la giustizia. Ne ho scritto con l’amico e compagno di viaggio Luca Martinelli (@Luca_Ae) di Altreconomia. E’ un articolo/appello che sta girando molto.

Per non parlare di un altro genocidio dimenticato, quello dei maya guatemaltechi. Da noi ormai se ne parla solo quando un popolare magistrato decide di occuparsene. E non è certo colpa sua.

Per carità, non ci sogniamo di interrompere l’ironica catena sulla fine del mondo che popola la scena mediatica italiana e i social network. Né tanto meno vogliamo mutare in conoscenza la superficialità che aleggia intorno a questo mito. Figuriamoci se vogliamo accusare gli italiani di essere dei pecoroni che fanno facili battute sul “sentito dire” che si assomigliano tutte e hanno fatto ridere qualche anno fa per un quarto d’ora poi basta.

No, non pretendiamo tutto questo. Nominiamoli pure i maya, ma se possibile non invano. Ricordiamo anche quelli ancora vivi che lottano contro l’oblio, non solo i loro antenati con le loro profezie che in pochissimi hanno avuto la voglia di approfondire.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA