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Quelle vite “indegne di essere vissute”

di Giulio Sensi

Ogni mattina apro con curiosità e piacere la newsletter di Superando che arriva sempre puntuale e ricca di contenuti. All’avvicinarsi del Giorno della Memoria, stamani vi ho trovato un ricordo molto interessante dello sterminio delle persone con disabilità da parte del regime nazista. Un tema su cui si è scritto molto, ma che è rimasto poco conosciuto, come peraltro anche altri risvolti di quella pagina oscura della nostra storia. 

Come emerge dalla ricostruzione di Silvia Cutrera, le persone con disabilità erano considerate “gusci privi di esistenza” e quindi “vite senza valore”. Hitler provava una fortissima repulsione nei confronti di queste persone e la prima azione fu quella di “rintracciarli” ed iniziare un vasto programma di sterilizzazione con il supporto degli appositi “Tribunali per la sanità ereditaria”.

Si stima -scrive Silvia Cutrera- che tra il mese di luglio del 1933 e l’inizio della guerra, furono sterilizzate a vario titolo circa 300.000 persone, il 60% donne, ma nei cinque anni successivi la cifra aumentò. Medicina e biologia si adoperarono per garantire la sanità del volk (“popolo”), selezionando corpi adatti a rivitalizzare uno Stato di superuomini”.

La storia ci racconta come finirono quelle vite “indegne di essere vissute” con il programma Aktion T4.

Gli adulti disabili -racconta Cutrera- furono uccisi nell’ambito del cosiddetto Programma Aktion T4, termine che prese il nome da una via di Berlino, la Tiergarten Strasse, in cui si trovava, al numero 4, l’ufficio responsabile dell’attuazione di questo progetto. Era una villa immersa nel verde, confiscata a una famiglia di ebrei. L’Aktion T4 fu pianificata nei minimi particolari fin dall’autunno del 1939. Attraverso un censimento che riguardò gli ospedali tedeschi, vennero rilevati i pazienti affetti da patologie fisiche mentali e sensoriali, non produttivi. Fu costituita una Compagnia Trasporti con il compito di trasferire i selezionati nei sei luoghi di uccisione adattati appositamente per eliminare persone considerate delle “zavorre” per il Terzo Reich. Si trattava di edifici isolati, ex caserme, penitenziari, case di cura, nei quali esperti ingegneri avevano allestito le prime camere a gas, utilizzando il monossido di carbonio, predisponendo nelle vicinanze il crematorio dove i corpi disabili diventavano cenere”.

Di fondamentale importanza, per preparare il terreno allo sterminio delle persone con disabilità, fu la propaganda nazista che produsse film, documentari e manifesti, volti a persuadere i tedeschi della necessità di eliminare i soggetti deboli. Nei manuali di matematica erano presenti problemi da risolvere tipo questo: “Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno, uno storpio 5,50, un criminale 3,50. In molti casi un impiegato statale guadagna solo 3,50 marchi per ogni componente della sua famiglia e un operaio specializzato meno di due. Secondo un calcolo approssimativo risulta che in Germania gli epilettici, i pazzi, etc., ricoverati sono circa 300.000. Calcolare: Quanto costano complessivamente questi individui ad un costo medio di 4 marchi? Quanti prestiti di 1.000 marchi alle coppie di giovani sposi si ricaverebbero all’anno con quella somma?”.

Diciamolo senza retorica, ma diciamolo. È sano coltivare questa memoria di questa storia in un tempo in cui si tende in maniera crescente a far passare come “insostenibili” i costi della cura delle persone con disabilità, senza peraltro valorizzare e sostenere le altre abilità che hanno e le potenzialità che il nostro sistema politico ed economico non permette loro di esprimere.

Ed è sano mantenere la memoria dello sterminio scientifico delle persone con disabilità in un momento in cui continuano a proliferare spazi pubblici -accessibili a tutti, anche a chi non ha strumenti culturali per affrontarli- su internet e sui social network. Spazi in cui si ridicolizzano o stigmatizzano le persone con disabilità e non solo. Un gruppo facebook è stato chiuso qualche mese fa dopo la denuncia che Vita aveva fatto. Altri ne intravediamo fra i commenti sdegnati di alcuni amici. Per esempio questo chiamato “Senza pudore“.

Allora una proposta: un modo per coltivare la memoria è quello di rintracciare e segnalare questi gruppi e gli abusi che portano avanti. È semplice: facebook mette a disposizione i mezzi per farlo. Basta andare sul menù degli strumenti accanto a “messaggi” nella home della pagina e segnalare spiegando il perché fra le opzioni messe a disposizione. Facciamolo.


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