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Le due Italie

di Giulio Sensi

Il buongiorno di stamani di Massimo Gramellini è straordinario soprattutto per un motivo: fa bene a leggerlo. Gramellini non si lascia andare a commenti retorici, è forse unico nell’arte di riportare i fatti come fatti anche quando sono opinioni. Mette in fila la vicenda dell’uscita silenziosa dall’aula di Umberto Ambrosoli mentre il Consiglio Regionale della Lombardia rendeva omaggio a Giulio Andreotti. Per usare una parola alla moda -scrive Gramellini-, Andreotti era divisivo. Lo era da vivo e lo rimane da morto. Purtroppo anche Ambrosoli. Perché esistono due Italie, da sempre. E non è che una sia «buona» e l’altra «cattiva», una di destra e l’altra di sinistra (Giorgio Ambrosoli era un liberale monarchico). Semplicemente c’è un’Italia cinica e accomodante – più che immorale, amorale – che non vuole cambiare il mondo ma usarlo. E un’altra Italia giusta e severa – più che moralista, morale – che cerca di non lasciarsi cambiare e usare dal mondo. Due Italie destinate a non comprendersi mai”.

C’è molta profondità in queste poche righe. C’è un’Italia degna, con la testa alta e la schiena dritta. È trasversale e si trova e ritrova in qualsiasi epoca, triste o meno, e in ogni ambiente del nostro Paese. Unisce, azzardando un paragone forse improprio, Giorgio Ambrosoli e Peppino Impastato, due personaggi agli antipodi per idee e impegno, ma accomunati da un’ostinazione della coerenza e dell’onestà che li ha resi martiri.

Ci sono le due Italie nei terremoti che devastano la vita e aprono il varco a miserie e speculazioni, così come a solidarietà e vicinanza; ci sono le due Italie prima dei terremoti che poi devastano le vite e uccidono di miserie e speculazioni, nonostante solidarietà e vicinanza.

Ci sono le due Italie nella società civile e anche nel terzo settore. C’è quella che costruisce e unisce, abbandona i personalismi e sa farsi rete; e c’è quella che sgomita a scapito di altri per andare avanti al posto di altri.

Queste due Italie ci sono anche in economia e fra gli imprenditori. C’è chi usa la politica per farsi spazio e farsi ricco e c’è chi lavora sodo e costruisce lavoro e benessere nonostante la politica e la burocrazia degli apparati.

Ci sono due Italie anche nella politica locale e nazionale: quella che umilmente cerca di costruire e quella che prende le scorciatoie, accusa e straparla purché si parli di lei. Perché questa Italia non muore mai e Berlusconi ne è il suo folgorante segno.

Ci sono due Italie nel giornalismo, uno sempre più divisivo che usa le opinioni cialtrone per farsi spazio ancora prima che farsi vendere. L’altro giudicatelo voi.

Le due Italie, una cinica e accomodante, l’altra giusta e severa. La prima spesso parla e guadagna lavori, consulenze e appalti, ottiene nome e prestigio con legami politici; la seconda lavora nel silenzio e nel silenzio fa cose grandi. Come quelle dei 100 giovani under 35, tutti quasi sconosciuti, che cambiano l’Italia cercando di innovarla. A loro Vita ha dedicato, coraggiosamente, l’inchiesta di copertina di questo mese.

Le due Italie: quella dei tanti dirigenti incapaci e stra-pagati che rovinano ambienti di lavoro, entusiasmi e professionalità; e quella dei tanti giovani capaci che non si rassegnano e antepongono al lamento la voglia di costruire. Perché, citando Luigi Tenco, gli uomini senza idee, per primi vanno a fondo. Soprattutto in tempi di crisi.

Le due Italie, “quella che mormora e quella che pratica l’allegria” per citare Jovanotti, un simbolo dell’Italia giusta. Non si possono tagliare con l’accetta queste due Italie. Sarebbe presuntuoso pretendere di appiccicare la patente di male e quella di bene a tutto ciò che si muove e ci circonda. Stiamo lontani da quella tentazione.

Ma puntare la bussola su quella giusta e severa è un gesto che attende ognuno di noi.


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