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Mi scusi presidente

di Giulio Sensi

Ho ascoltato alla radio il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano questa mattina. Commemorava Aldo Moro e le vittime del terrorismo nell’anniversario del suo assassinio. Ammoniva esplicitamente la politica a “fermare la violenza verbale prima che si trasformi in eversione”.

Il problema, purtroppo, non è solo quello della politica, ma riguarda più in generale tutto il dibattito pubblico e privato. Una questione importante, da affrontare subito in ogni sede. Il Presidente della Repubblica sa bene però cosa succede nel Paese ed è il primo a venire in possesso di informazioni riservate. Se ha pronunciato queste parole ci sarà un motivo e c’è di che preoccuparsi.

Qualche anno fa ero impegnato nei movimenti che da fuori venivano nominati “no global”. Movimento eterogenei in cui c’erano anime belle pacifiste e cattocomuniste (come taluni ci chiamavano) e “duri e puri” antagonisti, come venivano chiamati altri. A prenderne, come nei giorni del G8 di Genova, fummo più noi con le manine bianche non-violenti e incapaci di schiacciare una mosca. Ma questa è un’altra storia.

Al tempo facevamo un’attenzione maniacale a non sgarrare né a permettere a qualcuno di inserirsi nelle nostre attività e rovinarle con violenza verbale e atti idioti. Ci riuscivamo bene, facendo tesoro anche di insegnamenti del passato. Una parolaccia di troppo, o un concetto violento espresso anche vicino a noi, avrebbe rovinato tutte le nostre attività sociali, politiche e culturali. E avrebbe provocato l’insurrezione della “politica che conta” contro di noi. Una scuola di stile che ci è servita.

Poi ci siamo svegliati dopo qualche anno e pare che le briglie si siano sciolte. Il turpiloquio è stato scippato all’antagonismo dalla “politica che conta”, le bricconate di Berlusconi hanno aperto il cancello ed è scappata la mandria trasversale del “dicoquellochemipare”. Più la sparo e più si parla di me.

Vanificato il limite oramai” cantava Giovanni Lindo Ferretti in un grande pezzo. Ed in effetti è così. La politica negli ultimi anni ha sdoganato prima la licenza e il valore di truccare le carte, poi il turpiloquio. Il quale è diventato elemento di forza, invece che di colpa. Oggi usare l’aggressività, le parolacce, l’arroganza sta diventando un valore, non solo in politica. In fondo l’uomo forte, dico una banalità ma la dico, attrae sempre e divide in due il Paese.

La violenza verbale si potrà pure trasformare in eversione. Ma nel contempo si trasforma anche in un potente strumento per attrarre consenso.


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