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AAA cercasi e offresi benessere

di Giulio Sensi

Vaglielo a dire a chi non ha un lavoro né un reddito certo che il benessere oggi si misura non solo con i soldi che si guadagnano, ma anche con tutto quello che ci gira intorno e pure ciò che è dentro di noi. Eppure bisognerebbe sussurrarglielo comunque, specificando che, fra le dodici famiglie di indicatori che l’Istat ha introdotto nel Rapporto sul Bes (Benessere equo e sostenibile), solo uno parla di benessere economico, gli altri undici delle molte dimensioni che influenzano le nostre vite. Sorprendentemente non tutto va peggio.

Ma andiamo per gradi. Perché il problema della mia generazione oggi è che stiamo camminando sempre di più verso l’ambizione alla sopravvivenza. “Accontentati” è il mantra che ci martellano addosso. E la prima vittima del lavoro assente o precario non è la materialità dell’esistenza, ma è la libertà che ci viene sottratta giorno dopo giorno. La libertà di dire quello che si pensa senza essere visti come la prossima testa che cadrà, tanto fuori ad ambire al tuo posto c’è una coda infinita. E succede anche nel non profit e non ci sorprende. E la mia generazione si sta accartocciando sulla certezza che il domani sarà peggiore, trasformando le migliori energie della vita in ciniche e cicliche delusioni.

Allora piace pensare che un amministratore locale o un politico imposti il suo impegno guardando a quella famiglia di dodici indicatori che sono presenti nel Rapporto dell’Istat, che è lungo e impegnativo, ma non noioso e molto accessibile. Insomma, leggetevelo.

Vorrei pensare che, come ha ricordato in varie occasioni l’attuale ministro del Welfare Enrico Giovannini, l’orizzonte temporale delle scelte esca dal recinto delle risposte a breve che le crisi ci impongono e venga teso all’infinito senza spezzarsi. Che venga premiato un politico capace di dire cose sgradevoli per le sempre più fragili certezze della classe media scivolante, piuttosto di quello che fa a gara a dirla più grossa per sentirsi figo e applaudito da una massa di socio-miopi con la tendenza al socio-astigmatismo.

È utile guardare alla sostenibilità del benessere in senso anche economico e sociale e lo è anche nei territori in cui viviamo. Scopriremmo per esempio che, guardando alla salute, sono le persone meno istruite che soffrono l’eccesso di peso, sono più sedentari, fumano di più, che i giovani seguono una dieta meno sana e che oggi lo stato di salute fisica con gli anni tende a peggiorare più di quella psicologica. E curarsi costa, così come invecchiare. O che nel Nord Italia si vive di più e meglio, anche se piove di più e c’è meno sole.

Questi tratti sparsi di pennello potrebbero indicarci come affrontare le sfide della salute di una popolazione che se la prende sempre di più con gli immigrati -in grande maggioranza giovani e tendenzialmente sani- piuttosto che mettere in discussione i propri stili di vita, tanto più oggi la benzina per il consumismo è finita, ma il consumismo no. Strano vero?

Poi leggiamo che in Italia tutti i parametri relativi all’istruzione sono più bassi della media europea. Sai che scoperta, però l’Italia sta migliorando perché pur essendo indietro, i livelli di istruzione aumentano. Ma crescono solo quelli e la fruizione culturale è in calo. Parliamo di visite a musei o siti archeologici, lettura dei giornali, concerti, cinema, teatro etc. E gli adulti meno istruiti sono le prime vittime della crisi. Più o meno.

Poi c’è il lavoro, ma dovremmo guardare anche a quello in senso più ampio, tenendo conto della conciliazione dei tempi di vita, soprattutto per le donne il cui grado di occupazione è in forte ritardo. E se quella di anziani e adulti è più difesa, la domanda di lavoro dei giovani frustrata, i maschi italiani che lavorano in fabbrica o nei cantieri hanno subito le peggiori conseguenze della crisi, così come gli immigrati che hanno gradi di istruzione alti.

Anche qua sai che scoperta: però le diseguaglianze territoriali e generazionali stanno aumentando: significa poco dire “c’è meno lavoro” perché la realtà è più complessa.

Sarà l’ora di fare qualcosa?

Poi si scopre che le persone comunque reputano in buona parte interessante il proprio lavoro, anche se guadagnano troppo poco: non sarà che la cassa integrazione usata, per far quadrare i bilanci anche nel non profit, è un pessimo investimento perché se invece si dessero 100 euro in più in fondo al mese lavorerebbero tutti di più e meglio?

No, così per dire.

Poi chi ha un lavoro dipendente è più sicuro e meno soddisfatto della qualità del lavoro, mentre al contrario chi lavora in modo indipendente pur nelle molte difficoltà si sente in sostanza più figo.

Non sarà l’ora di mischiare un po’ le carte?

Del benessere economico abbiamo già parlato, ma quanto droga il tutto la cassa integrazione? Parecchio, ma appena qualcuno dice che il sistema degli ammortizzatori sociali va cambiato si scatena il putiferio. Male. A decidere poi è la politica, però nessuno ha fiducia in lei. Ma la politica in fondo non siamo noi? Infatti non abbiamo fiducia nemmeno nel vicino di casa. In genere si ha fiducia solo nei familiari. Ma la retorica dei parenti serpenti? Chissà dove è finita.

L’Istat ci dice che non esistono indicatori del grado di condivisione di valori e norme, ma basta osservare la gente che parla al bar per capire che andrebbe ricostruito un tessuto di civiltà. Come? Passando proprio dalle altre dimensioni del benessere. Magari inizieremmo a sentirci anche più sicuri perché il senso di insicurezza della popolazione è ancora molto elevato anche se i reati sono diminuiti.

Ma poi è vero che va tutto così male? Per larga parte della popolazione, quella che spesso ostacola il cambiamento quando vota nell’urna o con il portafoglio, sembrerebbe di no. L’apprezzamento per il tempo libero cresce, i giovani, nonostante la crisi, guardano con più ottimismo al futuro (anche se a me pareva di no e l’ho scritto all’inizio, vedete, pure la mia percezione è poco indicativa), ma le donne sono meno soddisfatte del tempo libero perché non ne hanno. Sorpresa: i più soddisfatti della loro vita sono i giovani che hanno anche meno certezze. Si potrebbe organizzare un grande baratto di ottimismo in cambio di un po’ di lavoro dignitoso. Impossibile?

Anche perché godere costa poco: basta aprire gli occhi e in Italia le occasioni di stare in bei posti e godersi il paesaggio sono molte. E se piove c’è sempre qualche bel museo. Nonostante questo, l’abusivismo edilizio in Italia ha raggiunto livelli oltre tutte le medie europee: chissà se gli autori di abusi edilizi stanno meglio o peggio di altri. Ma dipende da dove ci si trova perché l’ambiente è come tutte le altre dimensioni del benessere, soggetto ad una variabilità territoriale spaventosa. Così come l’innovazione e la ricerca, preferiscono vivere al Nord che nel bel trascurato e soleggiato Sud.

Poi ci sono i servizi, quelli sociali prima di tutto, ma anche pubblici in genere. Migliorano piano piano, ma non basta: troppi rifiuti finiscono ancora in discarica, troppi anziani non hanno sufficiente assistenza, troppi bambini non trovano posto in asilo, troppo tempo si spende in automobile per spostarsi. E allora la vita diventa più sedentaria, lo stress aumenta, la qualità della vita diminuisce etc. etc. etc.

A ben vedere a questo ci serve oggi il benessere: a ricordarci che tutto deve cambiare e dobbiamo prima di tutto cambiare anche noi.


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