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Emendiamo “The Mission”!

di Giulio Sensi

Sta finalmente facendo discutere la notizia del reality show “The Mission” che si terrà sulla Rai in autunno e dovrebbe ospitare alcuni volti noti dello spettacolo italiani in prove di solidarietà nei campi profughi di martoriati angoli dell’Africa. Il progetto, secondo quanto anticipato, avrà la collaborazione dell’Unhcr e dell’Ong Intersos.

L’idea è accolta quasi unanimemente da operatori e addetti ai lavori del mondo della cooperazione internazionale con colorite proteste. Una sonora bocciatura che non sorprende: pensare che il servizio televisivo pubblico rompa il sostanziale silenzio su questi temi con un reality show di vip che vanno ad intrattenere i poveri profughi nei loro campi è quanto meno bizzarra e non può che far discutere. Come al solito a discuterne sono soprattutto gli operatori, i cooperanti e coloro che sono in prinma linea, mentre, salvo rare eccezioni, i vertici delle Ong non si stanno proponendo con posizioni ufficiali e proteste formali. Nel mondo delle Ong, come su molti altri temi importanti, regna il silenzio.

Eppure gli spazi per contro-proposte si sono aperti. E’ il momento che la voce delle Ong si alzi all’unisono, utilizzando magari le poche realtà di coordinamento che esistono, per ringraziare la Rai dell’attenzione riservata ai problemi dei rifugiati in Africa, ma chiedere al contempo un cambio di rotta e l’inserimento nei palinsesti di programmi più seri. Limitarsi a condannare o a sbeffeggiare l’idea è riduttivo, mentre sarebbe il caso di utilizzare la breccia aperta da “The Mission” per iniziare a fare un po’ di politica anche sui temi dell’informazione televisiva. Se non lo fanno le Ong, i cui temi sono trascurati o rappresentati con buonismo e spettacolarizzazione tipici di decenni fa, chi lo deve fare? Il Ministero degli Affari Esteri?

Allora perché non prendere in mano carta e penna, mettere insieme molte voci e chiedere di emendare “The Mission”?

Qualche idea?

I protagonisti, invece che vip capricciosi o volenterosi, potrebbero essere i cooperanti, meglio ancora se fossero gli operatori delle realtà locali che fronteggiano situazioni di crisi. Allo stesso tempo i “beneficiari” dovrebbero essere pure loro protagonisti, in un’ottica di cooperazione che non vede il destinatario dell’intervento esclusivamente come oggetto di una buona azione, ma principalmente come soggetto protagonista della propria liberazione. C’è una letteratura da cui attingere.

Le realtà del Sud del mondo sono poi piene di aspiranti professionisti del video, giovani che hanno una telecamera e sanno fare molte belle cose: la Rai potrebbe cercare di coinvolgere persone del luogo nelle riprese, risparmiando e creando lavoro in situazioni che lo necessitano. La qualità del lavoro non sarebbe inferiore a programmi come “Report” o “Presa diretta” e chissà che non possa essere occasione per lanciare un’idea di cooperazione anche in questo campo.

Poi perché limitarsi alle situazioni di crisi? Ci sono angoli impoveriti di tutto il mondo che praticano la speranza e, con l’aiuto della cooperazione o senza, lavorano per migliorare in ottica comunitaria le condizioni di vita. Pensiamo veramente che vedere questi processi di sviluppo reale sia meno interessante che ascoltare Albano che canta ai profughi? (Con tutto il rispetto per ALbano e per tutti i vip che sono almeno disponibili a misurarsi su questi temi). Sorprenderebbero le storie di chi con poco o nulla riesce a vivere bene. E le idee potrebbero essere ancora molte, a patto che non sia l’ennesimo tentativo dei vertici delle Ong di far parlare solo di loro e della propria realtà, ma che rappresenti uno sforzo culturale e progettuale di rovesciare la narrazione internazionale della televisione italiana dei contesti di crisi o di povertà.

C’è posto per le idee, non per i protagonismi.

Volete il reality? Allora fatelo davvero e seguite come evolve la vita di una comunità che è aiutata in termini di risorse a crescere essendo protagonista della propria crescita. E magari raccontate anche come sopravvivere in molto contesti del Sud del Mondo, e sempre più anche da noi, consista nel resistere ai dettami di istituzioni internazionali che vorrebbero distruggere qualsiasi opportunità di costruire e coltivare economie locali e vedere riconosciuti i diritti umani. Si scoperchia un mondo, se siamo capaci di farlo. Quello che serve è un’iniziativa politica seria e credibile, che lo sia anche davanti alle esigenze di una rete televisiva di vendere un prodotto, ma che al contempo rispetti le realtà che racconta. Potrebbe essere un ottimo modo anche per restituire speranza al nostro paese bloccato e ingiusto che non spera più in niente.

p.s.: il titolo? The Mission potrebbe andare molto bene!


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