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Via dalla povertà

di Giulio Sensi

Il Ministro del Welfare Enrico Giovannini è uno che conosce molto bene i problemi sociali dell’Italia ed esercita la virtù di vederli da tanti punti di vista e da una prospettiva non solo nazionale. Pur nella fragilità del governo Letta, sta lavorando insieme al vice ministro Maria Cecilia Guerra ad alcune proposte per introdurre delle, per ora, piccole rivoluzioni copernicane in un contesto di politiche di welfare sociale trascurate e da rilanciare. Una di queste è il Piano contro la povertà -il Sia, Sostegno per l’inclusione attiva- elaborato insieme ad un gruppo di esperti di cui sono uscite alcune anticipazioni in questi giorni

Sembra un paradosso, ma la retorica della crisi nel nostro paese ha quasi cancellato la percezione reale della povertà: tanti si sentono impoveriti e fragili e una coltre di nebbia, nonostante i ricorrenti dati provenienti dagli istituti di statistica o di ricerca, è calata sulla definizione stessa di povertà. La retorica dei falsi poveri, che si sta affacciando sulla scia della (s)fortunata e malefica retorica dei falsi invalidi, sta facendo il resto, gettando un alone di sospetto sulle situazioni di deprivazione materiale. Non a caso il primo ad alzare uno scudo contro il Sia è stato Renato Brunetta che insieme agli ex colleghi di governo conosce molto bene le retoriche sul sociale e i loro obiettivi.

Ma la povertà reale, come ricorda Cristiano Gori dalle colonne del Sole 24 Ore, è una cosa seria. Osservando il fenomeno con i giusti occhiali, negli ultimi sette anni quella assoluta è raddoppiata nel nostro paese, passando dal 4,1% all’8%. Si parla -ricorda Gori- “di chi non raggiunge uno standard di vita minimamente accettabile calcolato dall’Istat e legato a un’alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari come quelle per vestiti e trasporti“.

E l’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico Paese in Europa a non avere un vero piano contro le povertà e a destinare ai poveri risorse insufficienti. Giovannini sa bene che di mero assistenzialismo le politiche sociali muoiono e diventano circoli viziosi, che c’è bisogno di nuove strade perché l’impoverimento riguarda sempre più persone e sempre più famiglie. Nessuno lo dice apertamente, ma chi conosce da vicino i servizi sociali e le misure assistenziali si rende benissimo conto che, nel momento in cui aumentano i bisogni e diminuiscono le risorse, è diabolico continuare con la visione burocratizzata e meramente caritatevole dei “tempi d’oro”, quando i poveri erano sempre quelli ed erano conosciuti per nome e cognome. Servono tante riforme radicali nelle politiche sociali, ma se molti se ne accorgono sono pochi coloro che fanno qualcosa.

Il Piano che il Ministero del Welfare ha presentato la scorsa settimana rappresenta invece un passo avanti interessante perché forse per la prima volta ribalta la tendenza a considerare le persone e le famiglie bisognose come meri destinatari di trasferimenti monetari, tendenza peraltro, su cui sono schiacciate le politiche sociali nel nostro Paese. Il Sia prevede certamente dei trasferimenti monetari, ma li vincola ad azioni formative, di inserimento sociale ed orientate a riproporsi sul mercato del lavoro che unisce i diritti ai doveri di cittadinanza. Chiede prima ancora di dare, ampliando notevolmente il campo rispetto alla social card. La fetta più grande del problema si annida poi nel mercato del lavoro, ma da qualcosa si dovrà pur iniziare.

Come ricordano gli economisti de Lavoce.info, per mettere a regime queste misure servirebbero fra i 5 e i 9 miliardi di euro, un obiettivo irreale in questo momento anche se in altri Paesi la quota corrispondente di prodotto interno lordo (circa lo 0,5%) viene impiegato proprio per la lotta alla povertà. Il Ministero stima comunque che con 1,5 miliardi di euro si potrebbe iniziare a sperimentare seriamente il Sia. La prossima legge di stabilità sarà il banco di prova.


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