Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Solidarietà & Volontariato

I costi dell’antipolitica

di Giulio Sensi

Chiarisco subito un punto: questo post non parla di Beppe Grillo e dei grillini, non mi è mai piaciuto scrivere di ciò di cui tutti scrivono -forse anche per questo mi è preclusa la carriera puramente giornalistica- e poi cerca di fare un ragionamento più amplio. Voglio parlare, in prima persona e me ne scuso, di una grande enorme omissione che riguarda il dibattito pubblico e privato degli italiani. C’era una volta la casta, oppure kasta, c’erano gli Stella e i Rizzo e poi a ruota tutti quelli che hanno, anche meritoriamente, aperto il dibattito del marcio in alto e di quello che non funziona. Bene, benissimo.

Oggi tutti cavalcano questo punto, tutti puntano il dito in alto: addirittura i politici se la prendono con sé stessi e i propri partiti. E la gente vive un disagio prima di tutto psicologico. Tutti si lamentano, anche quelli le cui condizioni economiche e sociali non stanno peggiorando. Ma tutti si sentono vittime di una grade enorme ingiustizia che inizia in alto, là in cima ai palazzi.

Bene, benissimo.

La libertà d’espressione ne guadagna. Tanto è vero che ci sono ministri e sottosegretari che criticano aspramente i propri dicasteri.

Bene, benissimo, siamo grandi, si può dire tutto.

Qualcuno li chiama cadaveri putrefatti quelli lassù in alto.

Bene, benissimo chiamateli come vi pare.

Ma non c’è nessuno che ha il coraggio di dire che i cadaveri i putrefatti sono in mezzo a noi, siamo anche noi.

Tutto il male sta in alto, il popolo è vittima, è una piazza da agitare, meglio se su Facebook.

Non c’è però nessuno che guarda in faccia gli italiani e gli butta addosso le miserie umane di cui vive. Forse anche perchè in fondo nessuno ha la dignità per farlo.

Le miserie dell’italiano che si incazza con gli immigrati pensando di mantenerli, mentre sono anche le loro tasse che pagano le sue pensioni e i suoi servizi pubblici.

Le tante, innumerevoli, liti che fanno esplodere i contenziosi fra vicini di casa che si parlano solo tramite avvocati (i quali ingrassano e ringraziano).

La difesa del piccolo interesse che oscura quello generale. L’agitazione del “no” incondizionato che scambia l’asfaltatura di una strada per un cantiere dell’alta velocità.

Il volgare attivismo mediatico che squalifica qualsiasi tentativo di qualsiasi decisore pubblico di generare un cambiamento.

L’incapacità di sentirsi parte di un progetto collettivo che non sia strettamente legato al l’interesse personale e ancora lo sventolamento del diritto per difendere privilegi.

Lo sbraitare per l’attesa nelle sale d’attesa della sanità pubblica, senza cercare di ordinare, moderare e capire l’affluenza insopportabile e ingestibile ai servizi sanitari.

E poi aggiungetene voi se volete, me ne vengono in mente talmente tante che non finiremmo mai.

Non esiste un italiano medio, è una retorica che non vuol dire niente. Esiste piuttosto un livello medio, spostato molto in basso, a cui sempre più italiani si stanno conformando.

Il risultato?

L’incapacità di sentirsi parte della risposta alla crisi e di realizzare che siamo anche in parte responsabili della crisi, perché ne siamo meccanismi.

La sensazione che c’è sempre qualcuno da qualche parte che ti vuole fregare, la cultura del sospetto e della fanghiglia che è un regalino lasciato dagli anni di Berlusconi e da tutti i suoi strenui oppositori che riempiono i giornali di falsità e sputtanamenti.

E nessuno si accorge che per risolvere i problemi dell’Italia non basta solo tagliare i costi della politica o abolire gli enti inutili, oppure ancora recuperare risorse dall’evasione fiscale. Che poi la cosa più importante sarebbe redistribuire la ricchezza, ma non ditelo perché perdete voti, siete un partito delle tasse poi.

Non basta solo quello, bisogna estirpare l’individualismo basato sul sospetto. Bisogna che ognuno dia il meglio di sé e recuperi il senso di vivere insieme agli altri.

Un piccolo esempio: nelle nostre vie aprono quasi solo sale slot e affini, “compro oro”, centri scommesse, fast food. Di chi è la colpa? Solo di chi autorizza questo nuovo scempio socio-urbanistico del territorio? Oppure anche di chi li popola?

Allora ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma smettiamola di raccontare balle: insieme ai costi della politica, qua dobbiamo agire sui costi dell’antipolitica, quella malata che serve solo a far incarognire la gente, a chiuderla nel proprio spazio privato fortino assediato, a fare in modo che si scagli contro tutti e tutto affinché niente cambi.

Quella che genera l’incapacità, costosa per la società, di reagire insieme ai problemi con genitori complicati. Questo è il costo più insopportabile del nostro tempo, perché impoverisce la capacità delle persone di ricostruire le proprie comunità. E i blocchi non sono solo burocratici, sono prima di tutto culturali. Ed è un costo perché è l’abdicazione all’utilizzo di una risorsa vitale per la democrazia.

Giovedì 5 dicembre è la giornata internazionale del volontariato. Ci saranno molti eventi in tutta Italia, L’involontario sarà a Milano agli Stati Generali del Volontariato in Sanità a dar manforte agli amici di Vita a diffondere questo evento.

Non ci piace la retorica del volontariato tutto buono. Ma forse, a ben vedere, se tutti affrontassero la vita come si fa semplicemente, senza eroismi e con molti difetti, da volontari. Beh, forse qualcosa comincerebbe a cambiare. Buon #giv2013! (per gli smanettoni di twitter e dei social network).


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA