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#inmovimento. Ecco come e perché non fermarsi

di Giulio Sensi

Lo avevano detto gli amici di Vita che volevano “ridefinire insieme i termini dell’impegno per la costruzione del bene comune e l’identità del Terzo settore”. Dalla giornata di oggi al Teatro Elfo Puccini di Milano rimane esattamente la sensazione di stare su un crinale: si può cadere rovinosamente in un burrone, o adagiarsi su un comodo ciglio che insiste su una spettacolare visuale. Anzi no, adagiarsi mai. Ma camminare rigenerati. Perché il titolo della giornata era il suo hashtag: #inmovimento. Aprendo Riccardo Bonacina ha sintetizzato a chi veniva data voce oggi: “Siamo le persone che vogliono fare più che il loro dovere. Vogliamo uscire anche dalle nostre organizzazioni”. Siamo lì, su quel crinale. In bilico fra la rovina e la resurrezione, fra la perdita di speranza e la costruzione di nuovi orizzonti di senso. Fra la crisi e l’impresa sociale da rilanciare c’è lo stesso rapporto che esiste fra una febbre che può ucciderti e il tuo corpo che invece ne può uscire rigenerato. Solo per fare un esempio. Ma facciamo parlare i protagonisti di oggi. L’unica cosa che non deve essere fatta è fermarsi, adagiarsi, rassegnarsi. Per questo rimettersi #inmovimento.

Primo educare. Serve respingere le false contrapposizioni, quelle dicotomie che sono da ripensare e riscrivere. Nell’educazione le ha illustrate Mauro Magatti: mente – mano, pubblico – privato, umanistico – scientifico, locale – globale. Uscire dai pensieri unici che la burocratizzazione dell’educazione ha imposto alla nostra società che ne è prigioniera. Basterebbe rileggersi, e capire, Ivan illich. Ma basterebbe anche tornare, come qualcuno ha ricordato, alla maieutica, per uscire dalla logica dell’insegnamento ed entrare in quella dell’educazioneuna storia incredibile l’ha raccontata Giovanni Del Bene. Ha protagonista proprio la scuola e le energie che si possono liberare dentro questo spazio vitale.

Educare, poi donare, ma ricostruire il senso del dono. Ne parla Chiara Giaccardi (antropologa). Riscopriamo il dono dice Giaccardi, levandoci l’arroganza e la strumentalità. Ripartiamo dal dono, quello dei poveri. E cita Arturo Paoli: mettere in circolo il dono per tutti, per gli altri. La metafora della fontana. La trovate in rete perché la rete è ricca di doni. Poi Giuseppe Bettoni, presidente di Arché che ricorda come il donare non sia solo un moto del cuore -che rischia di creare dipendenza-, ma può generare una circolarità perché il dono arriva a buon fine quando fra chi dà e chi riceve si crea uno scambio di vita.

Donare, poi produrre. Enzo Manes -Presidente Dynamo Camp- non ha dubbi: l’altruismo accresce la libertà. Chiaro. Se tutto funzionasse bene sarebbe proprio così. Poi si parla di azzardo, perché è un prodotto tossico che arriva a tutti. Marco Dotti dice una cosa fondamentale che rivoluzione l’approccio, anche quello comunicativo, ai nostri temi: il nostro problema è quell’uomo solo davanti alla Slot Machine, non quanti sono i ludopatici in Italia. La platea si scalda e Riccardo Bonacina la provoca. Jonny Dotti incalza: i beni comuni, quelli comunitari, devono essere una frontiera economica. Il futuro dell’innovazione è lì. La statalizzazione è l’anticamera della privatizzazione. Servono altre vie, ma sono urgenti. Non è che ci sia molto tempo.

Produrre, poi cooperare. Alberto Fontana (presidente Fondazione Serena) ne parla pacatamente e decisamente perché cooperare non è collaborare, ma una forma di cittadinanza per tutti.

Cooperare, poi lavorare. Raffaella Pannuti -presidente di Ant- si chiede, giustamente, se il legislatore sappia veramente le problematiche del nostro mondo. Poi Renato Benaglia della Cisl con un aneddoto sintetizza come è cambiato il mondo del lavoro: una volta ti chiedevano che lavoro fai, oggi se lavori.

Lavorare, poi curare. Cira Solimene, direttore di Uildm, lo racconta. Dove non c’e guarigione non significa che non ci sia cura. E l’anima della cura è nel “prendersi cura di” cosa che nel pubblico spesso non viene tenuta in considerazione. E la relazione, quella d’aiuto.

Curare e poi, e forse anche prima, recuperare spazi e bellezza. Una sfida enorme per l’economia sociale perché tutto il patrimonio che l’Italia non riesce più a valorizzare non può morire così. E lo ha ricordato il Touring Club che il turismo è fra le economie più promettenti, e da percorrere bene, che ci sono in Italia. Ma lo ha detto Gianluigi Ricuperati, scrittore, saggista e molto altro. Mette sul piano il software umano e l’hardware fisico sui progetti di rilancio culturale e la produzione di conoscenza. Forse la vera sfida. Ce n’è per i prossimi dieci secoli ad occhio e croce.


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