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di Giulio Sensi

Qualcuno scrive che l’Italia è impazzita: l’ultimo agghiacciante femminicidio di Roma, vittima la giovane Sara Di Pietrantonio, sta colpendo forse di più perché è l’ennesimo fatto del genere. E soprattutto perché qualcuno poteva fare qualcosa per salvare la vita della ragazza. “Fatti loro”, “cose private”, “se la sarà cercata”, “non mi intrometto” avranno pensato i passanti. Nemmeno uno si è fermato per cercare almeno di capire cosa stava succedendo. E la ragazza è morta così, bruciata da un vigliacco nell’indifferenza.

Facile però giudicare, pochissimi di quelli che ora fanno gli eroi su facebook si sarebbero fermati a difendere Sara. Perché siamo diventati un popolo di paurosi, di diffidenti, di sospettosi: ci manca la fiducia, negli altri e in noi stessi. L’atto più rivoluzionario che siamo in grado di compiere è sbarrarci a casa nostra e poi quotidianamente pararci le spalle da possibili guai. La fregatura è sempre dietro l’angolo.

Le televisioni, sempre più specchio di una società corrotta nell’anima, mostrano questo paese assurdo: inutili piazze gridate in cui si parla di tutto senza spiegare nulla. I fatti sono diventati le opinioni e le opinioni sono dischi inceppati di portatori di interessi propri.

Parlare con chiunque è diventato uno sgradevole esercizio di approssimazione: ripetiamo i titoli storpiati dei fatti incompleti che ci riportano, filtrati da ossessioni personali che nulla o poco hanno a che fare con la realtà. Usiamo le parole di altri per costruirci le opinioni che ci mancano. La colpa è sempre un piano più in alto o più in basso del nostro: dei politici -tutti ladri, tutti corrotti- o dei poveracci che vengono ad invadere le nostre terre a spese nostre. In alto e in basso la colpa, basta che non sia al piano dove viviamo, un piano che è meglio isolare e blindare, non si sa mai che anche i nostri simili ci vogliano fregare.

E’ la classe media italiana -che esiste ancora- ad essere diventata ridicola: ridicola perché non capisce che il tarlo che consuma il paese è proprio nella sua testa, che ad impedire che le cose funzionino non è il presidente del consiglio, il sindaco, l’assessore o chi per loro. Ma è il nostro atteggiamento ridicolo: come ci approcciamo ai problemi collettivi, come stiamo sul lavoro e in mezzo agli altri, come dividiamo il mondo in buoni e cattivi, come usiamo tutte quelle parole inutilmente senza cercare di capirci qualcosa.

L’atteggiamento ridicolo ha forme sempre più originali. Per esempio ci sono dei genitori che si presentano a scuola con l’avvocato perchè al figlio hanno confiscato il cellulare in classe. L’idea che l’atteggiamento di un ragazzo che smanetta col cellulare in classe oltre che essere contro l’insegnante sia pure contro la famiglia che lo mantiene agli studi manco gli passa per la testa. L’importante è andare a scuola con l’avvocato e intimidire. E intanto il figlio diventa un martire dell’istituzione scolastica.

Stiamo diventando un Paese maleducato, autostressato, bipolare. Come un cieco che prima si cava gli occhi, poi smanacca contro tutto, dando la colpa a tutti di non riuscire più a vedere. Questo si è perso, la capacità di guardare l’altro come qualcosa che può arricchirci, non fregarci e basta (che sia il lavoro, lo stato sociale, la vita, il portafoglio).

Eravamo fieri di esserci lasciati alle spalle il ‘900, ma stiamo perdendo tutto quello che di bello quel secolo disgraziato ci aveva insegnato. Compresa la speranza di lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello che avevamo trovato noi.

Beh, forse avremmo bisogno di aiuto. Come quello che vorremmo dare ai disperati che scappano dalle loro angosce per non farli sbarcare in Italia. Pensiamoci bene però ad interrompere il flusso: a quel punto a chi daremo la colpa dei nostri problemi?


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