Solidarietà & Volontariato

Ci chiamavano no global

di Giulio Sensi

No, non è vero che abbiamo perso, perché non è vero che tutto si è perso. Avevo 21 anni, la rabbia meno dell’amore, i colori addosso sempre più forti del nero triste, violento e incazzato che ti trovavi accanto e ti faceva più schifo di tutto. No, non è vero che abbiamo perso, è solo che il mondo è diventato ancora più brutto. E lo è diventato perché si è impaurito, si è chiuso. E si è arricchito male: per questo sembra più povero.

Ci chiamavano “no global”, ma a me questa definizione non è mai piaciuta, non mi ci sono mai trovato. Ci trovavamo spesso per sognare e capire, mica solo a Genova nel luglio del 2001. Facevamo un sacco di volontariato, crescevamo insieme. Le riduzioni non ci piacevano perché noi avevamo da cambiare il mondo, mica da urlare dei no.

Perché noi, almeno noi, non avevamo il “no” addosso. Solo una miriade di “si”. Eravamo belli, pieni di speranza, pieni di vita. Oggi questo mondo brutto sarebbe più ingiusto ed egoista senza quei semi lanciati un po’ casualmente fino a quindici anni fa e anche oltre. No, non è vero che non abbiamo costruito nulla, perché tutto quello che nella storia ha cambiato in meglio le società ha richiesto molto tempo.

E il tempo è ancora in corso.

No, non è vero che ci siamo vestiti di micro-azioni di “piccolo è bello”, perché qualsiasi piccolo gesto fatto per lasciare un mondo migliore di quello che si trova è una piccola rivoluzione. E sono le piccole rivoluzioni a fare i grandi cambiamenti. No, non è vero che ci siamo ritirati nello spazio privato, siamo cresciuti, certo, e anche su di noi il tempo che passa ha lasciato qualche peso di troppo sul cuore. Ma da quella stagione sono nate miriadi di comunità generative. E sono le comunità a cambiare il mondo. E per fortuna molti, non tutti, si sono liberati di vecchi, inutili e dannosi idee e linguaggi che da decenni rovinano le sinistre di tutto il mondo.

Alcuni si indignano ancora se gente diversa da loro pratica i principi che volevamo: la vedono come una strumentalizzazione, invece è una conquista. Sia benedetta.

Quindici anni fa era la speranza il motore dei movimenti che andavano oltre i confini nazionali, oggi è maledettamente altro ad aggregare contro l’idea globale. Questo è il vero dramma del tempo che viviamo.

Troppe cose avevamo previsto, troppo pretendevamo dai governi che già avevano abdicato la loro possibilità di costruire insieme e oltre i confini nazionali un mondo più giusto. Erano già inermi e non ce ne accorgevamo. Parlavamo a loro, alcuni già avevano capito che tutto si decideva in sedi diverse, che non avevano alcuna “accountability” rispetto alle conseguenze che generavano dalla loro scellerata condotta. Eravamo, quello sì, contro il neoliberismo: che poi venne sconfessato pochi anni dopo dai suoi medesimi fautori con pacchi di miliardi di stato per salvare le banche e noi stessi dalle follie della finanza.

Quindici anni sono passati, non sono passati invano. Tanti di noi sono poi cresciuti nella normalità. Alcuni, come me, hanno anche ruoli di responsabilità. Ma ognuno di noi tiene dentro quella fiammella, quella aspirazione a lasciare il mondo un po’ più bello di come l’ha trovato. Molti di noi vivono vite socialmente e politicamente un po’ piatte, ma dense di solidarietà, di onestà, di buon senso, di rispetto. Ce n’è più oggi che nel novecento, ne abbiamo più noi di quanto ne avevano le generazioni prima di noi.

Perché, appunto, il mondo sarebbe ancora più brutto senza quella stagione. E tutto quello che di terribile è successo dopo non grava sulle nostre spalle. Mentre molto di quello che di bello si è creato o mantenuto, beh, quello sì. Quello è anche un po’ merito nostro. Coraggio ragazzi, che la strada è ancora lunga.


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