Solidarietà & Volontariato

Volontariato del futuro o sfruttamento medievale?

di Giulio Sensi

Oggi a Milano CSVnet e Ciessevi presentano i risultati della ricerca sui quasi 6 mila volontari Expo. Contemporaneamente è annunciato un presidio di protesta: i contestatori sostengono che forme di impegno volontariato come queste non siano altro che “sfruttamento medievale”.

Intanto la ricerca. Parte dall’individuazione di una nuova categoria di volontari definiti “senza divisa”, “episodici”, “occasionali”. Di quei 6.000, ad esempio, la maggioranza sono giovani -età media 27,5 anni-, e quasi metà non sarebbero riusciti a prestare volontariato in forme più continuative, ma la stragrande maggioranza, oltre il 96.5%, era disposta a svolgere un’attività di volontariato anche in futuro, soprattutto in forma episodica (64%).

Emerge quindi la figura di un volontario “fluido“, che non si affeziona ad una causa, che non presta tutto il suo tempo libero ad un’organizzazione, ma che comunque si mette in gioco per qualcuno o qualcosa. Se può.

Chiamarlo “sfruttamento medievale”, pensare che sia un modo di sostituire un lavoro che andrebbe pagato di diritto è, secondo l’umile opinione di chi scrive, off topic. Cioè: motivazioni serie, ma mal riposte.

“Se il nostro impegno (anche quando dequalificato e demansionato) genera valore, e se il valore non è al servizio della comunità ma dell’impresa e della sua narrazione, vogliamo oggi ricordarvi un concetto limpido nella sua semplicità: il lavoro si paga, sempre”. Questo sostengono i contestatori. Come dargli torto.

Alberto Di Monte, rappresentante di Off topic, precisa a Redattore sociale che “il nostro non è un attacco violento al Ciessevi. Ma vogliamo dire con chiarezza che stanno prendendo una cantonata culturale pazzesca. Si sta modificando il concetto culturale di volontariato, che è servizio alla comunità, impegno etico. E si va verso un volontariato emozionale, a servizio magari di grandi imprese. Con Expo c’è chi ha guadagnato milioni di euro, non si capisce perché ai giovani sia chiesto di lavorare gratis”.

La cantonata culturale però rischiano di prenderla coloro che contestano queste forme. Perché il tema rilevante non è il lavoro non pagato. Queste forme di volontariato, per come si stanno affermando, non possono essere definite sostitutive del lavoro. O meglio, anche qualora lo fossero, sono difficilmente contestabili in quanto basate su scelte libere ed individuali, almeno quando riguardano i grandi eventi difficilmente arginabili. Il lavoro oggi è sfruttato, soprattutto quello dei giovani, più che mai. E’ un grande, grandissimo, problema di chi non ha alternative, non di chi ha tempo libero e cerca di impiegarlo come più gli piace in un evento importante.

Guardiamo il tema da un altro punto di vista. L’espressione “volontariato emozionale” usata dai contestatori è invece utile e appropriata: può essere definito volontariato? Oppure è una forma di impegno su base volontaria che non ha a che fare con i principi del volontariato largamente affermati? Facciamo un passo indietro.

La legge 266 del 1991, la legge quadro sul volontariato, ci corre in soccorso. L’articolo 2, comma 1, recita: “Ai fini della presente legge per attivita’ di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto edesclusivamente per fini di solidarietà”. Lasciamo perdere il tema dell’esercizio del volontariato dentro organizzazioni (la legge quadro non si riferiva certo ai volontari “senza divisa”), ma manteniamo il fine di solidarietà che è nel DNA di ogni azione volontaria insieme alla gratuità.

Stiamo parlando di quelle che secondo Stefano Tabò, presidente di CSVnet, sono le “nuove forme di volontariato che non si possono né trattenere né circoscrivere”. Tabò sostiene che “il volontariato episodico è una di queste e può diventare il volontariato del futuro: interessa una fetta sempre più ampia di cittadini, non è limitato solo ai grandi eventi, ma riguarda temi trasversali, dalla cura dei beni comuni alla gestione delle emergenze. E non è affatto in contrapposizione con il volontariato ‘tradizionale’ organizzato: al contrario rappresenta per le associazioni, se la sapranno cogliere, un’occasione di crescita e aggiornamento, una vera e propria nuova stagione”.

Non stiamo parlando di una cantonata culturale quindi, bensì di una scelta culturale. Opinabile come tutte le scelte (come la scelta di non scegliere e lasciare l’arruolamento dei volontari al “crudele mercato”).

Scorrendo la ricerca si svela un dato centrale: la motivazione dominante della partecipazione dei volontari all’Expo si è rivelata quella di “partecipare ad un grande evento”. Ed è anche il dato di soddisfazione più importante. Senza riportare in questa sede i numeri della ricerca, emerge comunque che quasi tutti quelli che hanno fatto i volontari in Expo sono molto soddisfatti dell’esperienza e vorrebbero partecipare ad altri “eventi”.

Qua è il punto centrale: c’è scarsa traccia fra le motivazioni o le ragioni di soddisfazioni del principio solidaristico -aver aiutato l’altro-. La soddisfazione risiede nel fatto di essersi sentiti “al centro del mondo”, di aver avuto un qualche tipo di ruolo dentro ad un evento di cui parlavano tutti.

Questo è il tema di discussione più interessante: la necessità di prestare il proprio tempo per sentirsi “emozionalmente” al centro di qualcosa. Tutto questo ha a che fare con il volontariato? Secondo il coordinatore della ricerca, il prof. Maurizio Ambrosini, la risposta è affermativa: perché le forme di volontariato episodico non si pongono in contraddizione con quelle tradizionali. Anzi, il volontariato tradizionale può allargare l’impegno e la cittadinanza attiva a tante persone che non sarebbe facile raggiungere altrimenti.

L’obiettivo deve essere quindi lavorare quindi sui volontari “emozionali” giovani per condurli ad una partecipazione più attiva e continuativa nel volontariato. “Sporcarsi le mani” insomma, “per nobili fini“. Da questo punto di vista la scelta di CSVnet e Ciessevi di cercare di governare insieme a Expo questo processo si è rivelata corretta e opportuna, confermando ciò che scrivevamo prima di Expo.

La ricerca che viene presentata oggi a Milano è importante perché ci dice molto sul valore delle esperienze “volontarie” nella crescita formativa e curriculare dei giovani in questo momento storico. E ci dice anche cose preoccupanti rispetto al contesto in cui i giovani si muovono. Saranno occasione presto per un’altra riflessione “involontaria”.


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