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Famiglia & Minori

L’educazione non è un azzardo

di Benedetta Verrini

Sotto casa mia, lo scrivevo qualche mese fa, è stata aperta una sala scommesse. L’evento, nel condominio, è stato accolto da una generale indifferenza. Io invece ero sinceramente preoccupata perché sapevo che ai bambini non sarebbero sfuggite le insegne roboanti, le tv sempre accese e i divanetti a forma di dadi che arredano il locale.

“Cosa fanno quei signori nel negozio?”, chiedeva mia figlia l’altro giorno, indicando i personaggi che, incuranti del freddo polare, stazionano sulla soglia con una sigaretta incollata al labbro e il telefonino perennemente appoggiato sull’orecchio. “Questo è un brutto posto”, le ha risposto pronto mio marito. “Qui i signori buttano nella spazzatura i soldini che hanno guadagnato”.

E’ molto difficile spiegare a un bambino l’invasione del gioco che, dalle città alle pubblicità in tv, stiamo vivendo in questi ultimi anni. Quando entro in un bar, nell’attimo in cui tento di pagare francobolli-caramelline-acqua-caffè mi trovo spesso anche impegnata a impedire che i figli si arrampichino/stramazzino al suolo dai seggioloni alti delle slot. Troppi colori, bei bottoni, interessante arrampicata libera: ci sono tutti gli ingredienti per avvicinarsi, mentre io vorrei che imparassero a girare al largo.

Non è facile: una mia amica mi raccontava sbigottita di un parente che ha regalato ai suoi bambini due gratta-e-vinci. E’ successo anche a me, ad esempio mi sono stati offerti come resto davanti a mio figlio. E non sono poche le mamme o i nonni che ho visto impegnati a far cancellare la schedina al proprio bambino, proponendogliela come un premio.

Penso che sul tema del gioco, esattamente e forse più che su quello del consumo di alcol, sia necessaria un’ondata moralizzatrice di quelle capaci di far resettare le convinzioni delle persone. E’ necessaria perché spesso ci sente pesci fuor d’acqua: succede ogni volta che da genitore ti indigni, ogni volta che ti inalberi per una situazione a cui tuo figlio è costretto ad assistere, ma il resto del mondo la considera una cosa innocente.

Il gioco mi fa paura perché ha una bella maschera colorata, perché spaccia gioia e successo. Come molte cose brutte della vita coltivo l’illusione che non mi possa sfiorare. Eppure è lì, così presente da far parte delle nostre città, della nostra quotidianità.

Perciò oggi prendo in braccio i miei bambini e li allontano. Spiego loro che certe persone buttano via i soldi perché, poverine, non sono mai andate a scuola. Non so se basterà, se il mio disprezzo sarà un messaggio sufficiente. Ma ci provo.

E vorrei che come me ci provassero anche altri genitori, vorrei che lo chiedessimo ai nostri amministratori, che lo esigessimo da telespettatori, da consumatori, da cybernauti, da madri e padri. Una battaglia di civiltà che facciamo oggi, perché i nostri figli saranno adolescenti in una manciata di anni.


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