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Cooperazione & Relazioni internazionali

Corpi Civili di Pace: selezionare e formare

di Sergio Marelli

Sicuramente il via libero di Parlamento e Governo ad una prima esperienza dei Corpi Civili di Pace è una delle buone notizie di inizio anno. La conferma data dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione che entro l’anno si invierà un primo contingente di 500 volontari rassicura circa l’effettiva volontà di impiegare i 300 milioni di Euro/anno stanziati per questa iniziativa con l’approvazione dell’emendamento alla Legge di Stabilità dello scorso dicembre. Come noto, ora il passo da compiere è quello della identificazione definitiva delle caratteristiche che dovranno possedere i volontari impiegati al fine di avere una univoca definizione della loro identità ed individuare gli enti idonei alla loro preparazione e alla loro gestione.

Tra le scelte positive compiute va anche sottolineato il fatto che ancora una volta in Italia, come nel caso di tutte le leggi succedutesi in materia di volontariato internazionale, l’impiego dei contingenti sarà affidata ad enti e organizzazioni già attive e con esperienza in operazioni di mantenimento della pace invece che, come optato da altri Paesi europei e della stessa Commissione di Bruxelles, essere gestiti da enti ed organismi governativi o paragovernativi operanti alle dipendenze, più o meno dirette, dei dicasteri governativi competenti.

Ciò premesso, a mio avviso in questa fase l’ultima cosa da fare è lasciarsi prendere da facili entusiasmi e sottostimare da un lato l’importanza e, dall’altro, la delicatezza e il conseguente grado di responsabilità che discendono dall’impiego di personale, soprattutto di giovane età, nelle situazioni e nei contesti che sollecitano e richiedono interventi di mantenimento o ristabilimento della pace. I rischi connessi  a questo particolare tipologia di servizio sono sicuramente ben noti agli enti che già operano in tali contesti, ma sempre più anche ai non addetti ai lavori coinvolti e informati anche a seguito degli ultimi episodi, a volte drammatici, che hanno caratterizzato personale italiano impegnato in zone di crisi e di conflitto.

Personalmente, reputo che la preparazione e ancor più la selezione del personale da avviare a questo servizio volontario siano le prerogative indispensabili alla buona riuscita delle attività e, perlomeno, all’abbattimento al minimo ipotizzabile dei rischi comunque connaturati a queste azioni. Della formazione del personale si è molto parlato ed è ormai convinzione unanime, almeno nella teoria, che una adeguata preparazione sia condizione irrinunciabile per gli interventi e soprattutto per la sicurezza degli operatori. Anche se, dal mio osservatorio, mi hanno molto inquietato alcune dichiarazioni rilasciate da protagonisti dell’approvazione di questa iniziativa che vedrebbero in “un mese e mezzo” di tempo il periodo minimo di formazione da richiedere ai candidati volontari.  Da sempre sostengo, confermato da una lunga esperienza nella gestione di volontari all’estero, che la riduzione dei tempi medi di formazione registrata progressivamente nel corso degli anni dalla grandissima maggioranza delle organizzazioni attive sia tra le principali problematicità del settore e che, con ancor maggior convinzione, ciò vale a fortiori nelle iniziative attivate in contesti critici. Tuttavia, senza contraddizione alcuna, rimango del parere che anche in presenza di formazione “adeguata”, la priorità nell’individuazione dei volontari debba essere rivolta alle fasi, ai criteri e alle metodologie di selezione. Reputo, infatti, che anche il migliore dei percorsi di formazione non possa minimamente sostituirsi alla ben più lunga ed efficace formazione che un giovane riceve nei decenni precedenti la sua candidatura ad un servizio di volontariato. Il “carattere” e le caratteristiche delle personalità degli individui assorbono tempi incompatibili con il seppur lungo periodo di formazione impartito dall’organismo di invio che, opportunamente e doverosamente, non può che completare ed aggiungere elementi complementari e circostanziali soprattutto riferiti al contesto e alle tipicità del contesto di futuro impiego dei volontari.

Per questo, il mio personale auspicio è che i rappresentati degli organismi di società civile coinvolti e i decisori governativi sappiano inserire nel decreto attuativo dei Corpi Civili di Pace condizioni vincolanti orientati a queste riflessioni senza cedere al fascino di facili populismi che, abbiamo già visto, possono rischiare l’inefficacia e, a tratti, mettere a repentaglio la sicurezza stessa del personale impiegato.


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