Economia & Impresa sociale 

Oltre l’«interesse». Il «senso»

di Andrea Di Turi

Le parole sono importanti. Non smetterò mai di dirmelo e di ricordarlo. Ci sono parole semplici e complicate, soavi e inquietanti, parole che scorrono via rapide e leggere o invece molto gravi, che impongono una riflessione perché dense di significati. Ci sono parole di uso frequente o rare, rarissime, che quando le incontri qualche dubbio ti viene sempre. E poi ci sono le parole straniere, specie quelle in inglese, che ormai sono diventate di uso comune e non si ritiene più necessario tradurle o spiegarle.

Appartiene a quest’ultima categoria la parola “stakeholder”, che nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa è ampiamente utilizzata. Letteralmente significa portatore d’interesse. Ma il punto è questo: il significato letterale è quello più corretto? O, per essere più precisi, è quello che esprime più correttamente il ruolo che lo stakeholder e più ancora gli stakeholder nel loro insieme oggi svolgono? Ho più di qualche dubbio in proposito, anche se molto spesso – per non dire sempre – anch’io utilizzo la locuzione “portatori di interesse” come sinonimo di stakeholder.

I miei dubbi derivano dal fatto che lo stakeholder è sicuramente un portatore d’interessi nei confronti dell’attività dell’impresa. Ma è anche molto, molto di più. E sono le stesse aziende, in particolare quelle che più in profondità hanno introdotto principi e criteri di responsabilità sociale, a considerarli molto più che semplici portatori d’interessi.

Perché? Ma perché lo stakeholder, che sia “interno” (ad esempio i dipendenti) o “esterno” (ad esempio una ong, un’associazione di consumatori), è sempre più coinvolto nelle strategie di responsabilità sociale, sempre più protagonista, sempre più ascoltato. E questo percorso non potrà che svilupparsi ulteriormente. L’integrazione della csr, insomma, comporta inevitabilmente un crescente protagonismo degli stakeholder già a livello strategico. Lì dove si decide cosa fare, perché farlo, come farlo, quando, insomma che strada intraprendere e per arrivare dove.

Proprio questo, allora, è il punto: sono solo i rispettivi interessi quelli di cui gli stakeholder sono portatori? Non credo. Credo che la parola “interesse” non dica tutto e non dica, soprattutto, ciò che è prioritario nel ruolo dello stakeholder, oggi e in prospettiva, nell’integrazione della csr in un’impresa.

Penso che lo stakeholder porti in azienda non tanto il suo interesse ma, ad esempio, i suoi valori, non necessariamente “superiori” a quelli dell’azienda, ma di certo diversi, per mille motivi: per la natura dello stakeholder, la sua storia, il contesto e i riferimenti culturali che gli sono propri.

Penso che lo stakeholder porti in azienda soprattutto la sua prospettiva, ma si può chiamarla tranquillamente visione: è il modo in cui dal suo punto di osservazione vede, valuta l’attività dell’azienda e in un certo senso ne prevede gli effetti, o impatti, che essa può avere nell’ambito che lo stakeholder meglio conosce. Confrontandoli con la sua visione di quello che l’azienda dovrebbe fare o, ancora di più, essere.

Penso, infine, che oltre a essere portatori di valori e di visione, gli stakeholder in azienda siano e possano essere considerati più di tutto dei portatori di senso. Un senso che le aziende stanno cercando (disperatamente?) di esprimere per rafforzare una legittimazione sociale che a volte vacilla, per non dire barcolla, e sarà sempre più a rischio se continuerà a essere fondata prima di tutto, com’è stato in pratica fino a oggi, solo sulla ricerca di un legittimo profitto economico. Un senso che anche chi lavora in azienda (e chi ci lavorerà, cioè i giovani che si stanno avvicinando al mondo del lavoro) sta cercando, per avere ogni giorno la motivazione giusta e necessaria a svolgere con soddisfazione il proprio lavoro.

Ecco, è il senso più di tutto, io credo, il valore aggiunto di cui lo stakeholder può farsi portatore in azienda. Tenendo presente che ogni stakeholder, a qualunque categoria appartenga ma anche all’interno della stessa categoria, ha il suo proprio senso. Più di una volta, per giunta, poco o per nulla compatibile se non proprio altro, diverso, dal senso che un altro stakeholder esprime. Sta poi all’azienda la responsabilità, se vogliamo l’onere ma anche il diritto di fare la sintesi possibile e opportuna dei tanti sensi di cui sono portatori i suoi stakeholder. Una bella sfida, non c’è dubbio. Ma anche un sfida bella. Con molto, molto senso.

@andytuit


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