Cooperazione & Relazioni internazionali

Anche il terzo settore ha bisogno di leader europei.

di Luca Jahier

Nella sempre più aggrovigliata fine di questa controversa legislatura, ai molti, variegati e spesso autorevoli commenti che accompagnano il dibattito pubblico intorno all’apprezzamento della esperienza “unica” del Governo Monti e alle prospettive future, voglio aggiungere una piccola nota laterale.

Qualche giorno fa, un acuto editoriale di Stefano Lepri su La Stampa (Perché tutti vogliono il professore), nel commentare in particolare il complesso e inedito legame tra le vicende nazionali e il diretto coinvolgimento europeo nel nostrano dibattito politico (tra di noi, dic he ci stupiamo, questa è ogi l’Europa,perché non è stato così per la Grecia, la Spagna, l’Irlanda, l’Ungheria e la Polonia qualche tempo fa Olanda, e più recentemente per la stessa Olanda e Francia….’) concludeva con una osservazione molto acuta, dicendo che “Monti ha mostrato in modo piuttosto evidente che si può essere italiani e leader in Europa… ma che più sottilmente ha mostrato anche che non si può essere leader in Italia senza avere una statura europea“.

Una considerazione che spiacerà a molti forse, ma credo assolutamente vera e, peraltro auspicabile, per l’Italia, per ogni altro paese europeo e lo stesso futuro dell’integrazione europea.

Ma questa considerazione, fatta per la politica, mi sembra anche assai vera per tutti gli altri ambiti dell’agire collettivo, economico, sociale, civile e culturale. E, ancora più drammaticamente vera anche il nostro mondo del Terzo settore , italiano in particolare.

Mi è così tornato alla mente il testo che scrissi ai tempi della compianta Agenzia per le Onlus (ve la ricordate…. Purtroppo abolita dalla spending review del governo Monti, sic…), su iniziativa del suo Presidente Stefano Zamagni. Il capitolo finale del Libro Bianco sul Terzo settore, pubblicato dal Mulino nel 2011, mi fu affidato, con il titolo invero assai didascalico della situazione attuale della dimensione europea del terzo settoe italiano.

Le conclusioni di quel capitolo mi sembrano quantomai atuali: << Inoltre, stiamo definitivamente uscendo – forse per fortuna – da un’epoca caratterizzata da una diffusa retorica comunitaria e da una sorta di dividendo del «mai più la guerra e il nazionalismo in Europa», con la crescita di contraddizioni e spinte centrifughe, ma anche di domande di formulazione di nuove ragioni politiche, sociali ed economiche per l’integrazione, così come di nuovi e poliedrici centri propulsivi. E, dunque, vi sono anche forti ragioni pratiche sia per le istituzioni che per tutte le reti organizzate della società civile, per loro natura proiettate su un bene comune più ampio pena lo stesso esaurimento della propria matrice, a fare crescere gli spazi di questa alleanza e a procedere verso una stagione di maggior integrazione tra i livelli nazionali ed europei delle stesse. Come avviene anche per i governi, sempre più spesso le soluzioni nazionali sono inutili – un vero e proprio spreco –, se non addirittura inattuabili. Per questa ragione, le organizzazioni della società civile devono uscire dal recinto nazionale e dotarsi di obiettivi, strategie e strumenti per perseguire investimenti comuni su una scala più ampia. Partendo dalla consapevolezza che nuovi, vastissimi spazi si sono già aperti, e che ora spetta alla libera iniziativa delle diverse formazioni sociali dare forma, consistenza e strategia al terzo polo della dimensione economica, sociale e civile dell’Europa.>>

Passate le elezioni politiche, mi pare che anche il Terzo settore italiano e le principali forze sociali e civili che lo compongono siano chiamate a ripensarsi con urgenza per rispondere alle istanze ed evoluzioni della nostra società italiana ed europea. Continuo a credere che nella nostra società e in particolare nelle sue forze sociali, economiche e civili esista tutt’ora una formidabile energia di buona politica, profondamente ancorata alla “res pubblica” e proiettata al futuro, che incrociandosi con analoghe energie presenti in altri paesi può far esplodere quel fiume carsico dei valori fondanti della civiltà di questo continente, salvarlo dalla sua pericolosa deriva e infine contribuire alla rigenerazione anche del nostro paese, rendendolo nuovamente capace di quello sguardo lungo e generoso, che spesso ha caratterizzato il contributo del nostro paese al mondo. C’è bisogno di più Italia in Europa, c’è bisogno di più Europa in Italia. E abbiamo bisogno di leader anche civili che sappiano incarnare questa prospettiva. E se non ne abbiamo abbastanza, almeno cominciamo un investimento serio e programmatico per selezionarli e formarli nei prossimi dieci anni. Questo almeno diventi un primo punto programmatico del rinnovamento. Soprattutto c’è bisogno di un vero e decisivo salto di qualità di tutte le rappresentanze della società civile organizzata, per realizzare quella nuova stagione del benessere diffuso, e di iniziativa anche in quel bacino naturale della storia italiana che è il Mediterraneo.


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